«Decisi io, Silvano non ne sapeva nulla»
di Tiziano Soresina
Vecchi difende il figlio dall’accusa di aver messo un prestanome a guida di una ditta per evitare un sequestro antimafia
24 marzo 2017
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REGGIO EMILIA. Padre e figlio – l’imprenditore 62enne Giovanni Vecchi e il 35enne Silvano Vecchi – sono entrambi imputati di Aemilia, ma hanno da tempo scelto vie giudiziarie diverse.
Ieri pomeriggio, nell’aula bunker, i loro destini si sono però incrociati, perché il padre è stato chiamato a testimoniare sull’accusa che riguarda il figlio nel procedimento di Reggio, cioè “aver attribuito fittiziamente la titolarità formale delle quote della società Leonardo Group srl ad Alfonso Patricelli” con l’obiettivo – sempre per la Dda – di “eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale”. Una convocazione a deporre disposta sui due piedi dal pm Beatrice Ronchi in accordo con la Corte e che ha infastidito l’imprenditore, mentre per il figlio (agli arresti domiciliari per un’altra accusa, cioè stalking, al centro di un processo in corso) non c’è stato il tempo di autorizzarne la presenza in aula. Piuttosto seccato, Vecchi durante la testimonianza è entrato a tal punto in frizione con il pm Rochi che l’interrogava, da richiedere l’intervento del presidente Francesco Caruso. Comunque l’imprenditore ha spiegato che nel maggio 2015 le sue aziende erano ferme per pignoramenti e fallimenti, quindi avendo ottenuto un grosso lavoro a Parma aveva costituito la società Leonardo d’installazione di impianti elettrici. «Misi io il capitale, poche migliaia di euro, per costituire la Leonardo e ripartire». Ma perché venne messo Alfonso Patricelli come amministratore e con intestate il 100 per cento delle quote societarie? «È mio cognato, da 15 anni lavorava con me, era responsabile della sicurezza in Save Group, di lui mi potevo fidare ciecamente e non ho preso un coglione qualsiasi come fanno altri. Mio figlio Silvano non sapeva che Patricelli era l’amministratore, era però assunto nella Leonardo e come dipendente si occupava di acquisiti e vendite di materiali elettrici. Era stato assunto anche mio nipote Giovanni Patricelli. Tutto in famiglia». Per l’accusa venne invece scelto come amministratore un prestanome, perchè Vecchi sapeva di correre dei rischi sul versante dei sequestri preventivi dei beni per i rapporti in odore di ’ndrangheta avuti con Alfonso Diletto (condannato in Aemilia a Bologna ad oltre 14 anni di carcere). «I rapporti con Diletto furono due – replica Vecchi – cioè per un restauro milionario a Sant’Ilario e una fornitura di macchinari in Costa d’Avorio e per quest’ultima cosa era diventato socio della Save International. Ma fu un rapporto conflittuale. Mi doveva restituire dei soldi, fui costretto a chiedere un decreto ingiuntivo e mi fece delle cambiali». Un teso botta e risposta di nemmeno un’ora.
Ieri pomeriggio, nell’aula bunker, i loro destini si sono però incrociati, perché il padre è stato chiamato a testimoniare sull’accusa che riguarda il figlio nel procedimento di Reggio, cioè “aver attribuito fittiziamente la titolarità formale delle quote della società Leonardo Group srl ad Alfonso Patricelli” con l’obiettivo – sempre per la Dda – di “eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale”. Una convocazione a deporre disposta sui due piedi dal pm Beatrice Ronchi in accordo con la Corte e che ha infastidito l’imprenditore, mentre per il figlio (agli arresti domiciliari per un’altra accusa, cioè stalking, al centro di un processo in corso) non c’è stato il tempo di autorizzarne la presenza in aula. Piuttosto seccato, Vecchi durante la testimonianza è entrato a tal punto in frizione con il pm Rochi che l’interrogava, da richiedere l’intervento del presidente Francesco Caruso. Comunque l’imprenditore ha spiegato che nel maggio 2015 le sue aziende erano ferme per pignoramenti e fallimenti, quindi avendo ottenuto un grosso lavoro a Parma aveva costituito la società Leonardo d’installazione di impianti elettrici. «Misi io il capitale, poche migliaia di euro, per costituire la Leonardo e ripartire». Ma perché venne messo Alfonso Patricelli come amministratore e con intestate il 100 per cento delle quote societarie? «È mio cognato, da 15 anni lavorava con me, era responsabile della sicurezza in Save Group, di lui mi potevo fidare ciecamente e non ho preso un coglione qualsiasi come fanno altri. Mio figlio Silvano non sapeva che Patricelli era l’amministratore, era però assunto nella Leonardo e come dipendente si occupava di acquisiti e vendite di materiali elettrici. Era stato assunto anche mio nipote Giovanni Patricelli. Tutto in famiglia». Per l’accusa venne invece scelto come amministratore un prestanome, perchè Vecchi sapeva di correre dei rischi sul versante dei sequestri preventivi dei beni per i rapporti in odore di ’ndrangheta avuti con Alfonso Diletto (condannato in Aemilia a Bologna ad oltre 14 anni di carcere). «I rapporti con Diletto furono due – replica Vecchi – cioè per un restauro milionario a Sant’Ilario e una fornitura di macchinari in Costa d’Avorio e per quest’ultima cosa era diventato socio della Save International. Ma fu un rapporto conflittuale. Mi doveva restituire dei soldi, fui costretto a chiedere un decreto ingiuntivo e mi fece delle cambiali». Un teso botta e risposta di nemmeno un’ora.