Per Vecchi chiesti 5 anni di sorveglianza speciale
Dall’antimafia di Bologna la misura di prevenzione per l’imprenditore reggiano Chiesto anche l’obbligo di dimora a Reggio dopo la condanna a 4 anni in Aemilia
REGGIO EMILIA. Il flusso di denaro creato tramite reati di mafia al sud e gestiti dal boss cutrese Nicolino Grande Aracri hanno preso negli anni varie direzioni. Una di queste è Montecchio, dove aveva sede la Save, società di costruzioni di Giovanni Vecchi, che secondo l’antimafia di Bologna è finita nella mani del clan di ’ndrangheta con il placet del patron reggiano. Intestazioni fittizie che sono costate a Vecchi una condanna nel primo grado abbreviato del processo Aemilia a 4 anni e 10 mesi, confermata poi in appello e che ora ha uno strascico di polizia semmai più pesante. L’imprenditore si è visto presentare una richiesta di sorveglianza speciale dalla Dda di Bologna per 5 anni, il massimo previsto, con obbligo di dimora a Reggio. Una misura di prevenzione personale che colpisce uno degli imputati considerati tra i più eccellenti di vari filoni del processo contro la ’ndrangheta al nord. La richiesta è stata ribadita ieri in udienza davanti al gup Angela Baraldi dal pm Beatrice Ronchi nei confronti dell’imputato di Aemilia, sempre presente alle udienze, difeso dall’avvocato Vainer Burani.
Vecchi, 63 anni, è finito nel mirino insieme alla compagna e socia Patrizia Patricelli per gli affari con Alfonso Diletto, cutrese da anni stabilitosi a Brescello, considerato uno dei capi della cosca in Emilia, condannato in appello a 14 anni 2 mesi di carcere. L’accusa parla di società fittiziamente intestate a terzi, nelle quali venivano sistematicamente conferite ingenti somme di denaro di derivazione illecita. Un sistema articolato, motivato dall’esigenza di tenere l’autorità giudiziaria lontana dai veri titolari degli stessi beni: gli affiliati al clan. Una parabola che disegna per gli inquirenti la storia della Save Group di Montecchio, nata negli anni Settanta e il cui unico dominus sembrava essere Giovanni Vecchi, “l'ingegnere” come veniva chiamato nell'azienda che in tempi di vacche grasse arrivò ad avere fino a 150 dipendenti. Dietro alla persona di specchiati costumi, però, vi sarebbe stato da tempo – secondo la ricostruzione della Dda di Bologna – la longa manus della ’ndrina di Cutro, quella di Nicolino Grande Aracri, che tramite Alfonso Diletto (uomo di fiducia del capo a Reggio Emilia) controllava dietro le quinte la Save e le altre ditte della galassia di Vecchi, partecipando così alla spartizione del tesoretto derivato dagli appalti.
A far quadrare il legame tra Vecchi e Diletto, c’è poi uno schema ritrovato con l’ordinanza cautelare denominata Aemilia 2, che fu emessa successivamente a quella del 28 gennaio 2015 (famosa per i 140 arresti). Tra la documentazione sequestrata in quel caso a Vecchi, c’è infatti un foglio scritto dall’imprenditore in cui compare il nome di Diletto. C’è poi una scrittura privata considerata di formidabile valenza probatoria: una scrittura del 22 maggio 2013 stipulata da Vecchi, Patricelli e Diletto con la quale i tre pattuivano la cessione del 30% delle quote di Diletto nella società maltese Save International Ltd in favore della Patricelli, stabilendo espressamente che il trasferimento avesse un carattere meramente fittizio.
Enrico Lorenzo Tidona
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