Gazzetta di Reggio

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Il ruolo della Primula Nera sotto la lente della magistratura per via D’Amelio

Stragi di mafia e viaggi in Sicilia, la gip Luparello: «Verificare la versione di Bellini»

Evaristo Sparvieri
Stragi di mafia e viaggi in Sicilia, la gip Luparello: «Verificare la versione di Bellini»

Continuano le indagini per far luce sui mandanti della strage del 19 luglio 1992

19 luglio 2022
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Reggio Emilia «Verificare la veridicità delle affermazioni di Paolo Bellini sulle ragioni della sua trasferta in Sicilia nel dicembre 1991, individuando la società di recupero crediti per la quale egli avrebbe lavorato e l’oggetto dello specifico mandato conferitogli in quel periodo (entità dei crediti; persona e residenza/sede sociale del debitore, ragioni dei crediti)». E poi: «Acquisire elementi di prova sul soggiorno di Enzo Giammanco all’hotel Sicilia di Enna e sul soggiorno di Bellini nell’hotel Kalura di Cefalù». E ancora: «Acquisire copia degli atti relativi al suicidio di Gioè e disporre una consulenza medico-legale per rivalutarne le cause del decesso; esperire consulenza grafologica sui biglietti rinvenuti nella cella di Gioè, dopo la scoperta della sua morte, per verificarne la certa attribuibilità allo stesso Gioè e per accertare se ciascuno dei biglietti fu vergato nello stesso frangente temporale degli altri; esperire ogni accertamento utile a stabilire la provenienza del materiale cartaceo utilizzato per scrivere le ultime riflessioni di Gioè».

Sono alcuni dei 32 spunti di indagine con cui nel maggio scorso la gip del tribunale di Caltanissetta, Graziella Luparello, ha respinto la richiesta di archiviazione per decorrenza dei termini avanzata dalla Procura nell’inchiesta a carico di ignoti sui mandanti esterni della strage di via d’Amelio, di cui oggi ricorre il trentennale, costata la vita a Paolo Borsellino e a cinque agenti della sua scorta: Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina.

I processi

Quello di Caltanissetta è uno degli ultimi pronunciamenti della giustizia sulle stragi di mafia in cui compare il nome della Primula Nera, che nelle vesti di collaboratore di giustizia ha reso testimonianze in molti processi. Il respingimento dell’archiviazione dell’inchiesta – nella quale Bellini non risulta indagato, essendo le indagini a carico di ignoti – è motivato in maniera articolata, «procedendo se necessario a nuove iscrizioni nel registro degli indagati» e riaccendendo i riflettori sul periodo stragista di Cosa Nostra e sul ruolo di infiltrato della Primula Nera reggiana ed ex Avanguardia Nazionale, condannato all’ergastolo in primo grado per l’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 (per il quale si è sempre proclamato innocente ed è in attesa dell’Appello), che in quel terribile 1992 è stato al centro di quella che è stata definita la trattativa Stato-Mafia sulle opere d’arte: una trattativa poi finita su un binario morto e imbastita attraverso il recupero di alcune preziose tele rubate dalla banda di Felice Maniero alla Pinacoteca di Modena in cambio di arresti domiciliari o detenzioni ospedaliere per cinque mafiosi di spessore, ovvero Luciano Leggio, Bernardo Provenzano, Marchese, Gambino e forse Pippo Calò.

Aquila Selvaggia

La trattativa – di cui erano a conoscenza l’allora maresciallo del Nucleo tutela e patrimonio artistico, Roberto Tempesta e Mario Mori, ex comandante del Ros ed ex direttore del Sisde – venne imbastita da Bellini alias Aquila Selvaggia con il boss di Altofonte, Antonino “Nino” Gioé, uno degli attentatori di Capaci, considerato vicino a servizi e massoneria, suicida a 45 anni nel 1993 in carcere a Rebibbia in circostanze considerate sospette, si ipotizza mentre era in procinto di collaborare con la giustizia nell’ambito del cosiddetto protocollo Farfalla, l’accordo riservato stipulato tra servizi e il Dipartimento di amministrazione penitenziaria per gestire le informazioni provenienti dai penitenziari di massima sicurezza.

Una morte avvenuta nell’arco di 20 minuti durante i quali all’agente preposto alla sorveglianza continua fu ordinato di allontanarsi. In cella, venne trovato un biglietto in cui si citava anche Bellini, definendolo un infiltrato.

«Gioè è morto, Bellini nello stesso filone che era stato agganciato a Firenze dalla Procura nazionale antimafia, è stato addirittura archiviato perché non c’erano elementi per andare avanti – afferma Antonio Capitella, uno dei difensori della Primula Nera insieme a Manfredo Fiormonti in relazione alle nuove inchieste di mafia che tirano in ballo Paolo Bellini – non ha nulla da dire oltre a quello che ha già raccontato e che è stato ritenuto inidoneo ad andare in giudizio. Né io né Fiormonti siamo stati interessati da nuovi atti».

Il biglietto

Bellini e Gioè si erano conosciuti nel 1981 durante un periodo di detenzione a Sciacca, quando la Primula Nera usava ancora le false generalità brasiliane di Roberto Da Silva. E, dieci anni dopo quella conoscenza, nata grazie ad una sfida di ping pong fra detenuti, la Primula Nera riallacciò i rapporti con lui in occasione di alcune trasferte in Sicilia che Bellini ha sempre definito legate alla sua attività di recupero crediti dell’epoca. Incontri dai quali emerse anche il proposito stragista di Cosa Nostra di colpire i monumenti, come avvenne nelle cosiddette stragi in Continente del 1993. Gioè morì fra il 28 e il 29 luglio 1993, ovvero all’indomani degli attentati di Roma e Milano del 27 e 28 luglio.

L’infiltrato

Sullo strano suicidio, secondo la gip, «è ben possibile – si tratta di una mera ipotesi che, tuttavia, merita di essere approfondita, anche ai fini della sua confutazione – che Gioè avesse reso dichiarazioni sul conto di Bellini ad appartenenti infedeli allo Stato (servizi segreti, la cui deviazione dai fini istituzionali è stata acclarata con la sentenza Contrada) e che questi, prima che Gioè potesse entrare in contatto con i magistrati, ne avessero deciso l’eliminazione. Il biglietto, in tal senso, laddove predisposto artatamente da color che avrebbero deciso di “suicidare” Gioè, potrebbe rinvenire una spiegazione nel tentativo di neutralizzare a priori l’eventuale fuoriuscita sul reale ruolo di Bellini (anche per tramite dei familiari con cui il detenuto aveva avuto dei colloqui), accreditandosi in tal modo la tesi che si trattasse di un mero infiltrato».

Nelle numerose dichiarazioni rese nei processi di mafia, la Primula Nera ha sempre motivato la sua decisione di infiltrarsi in Cosa Nostra perché disgustato dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Ma sulla versione resa dalla Primula Nera nel corso degli anni, il tribunale di Caltanissetta ritiene ci sia «qualche perplessità sul piano dell’attendibilità intrinseca». A cominciare da un viaggio a Enna nel dicembre 1991, nello stesso periodo «di una riunione della Commissione regionale di Cosa Nostra per varare l’uccisione di Falcone e Borsellino». Per la gip, «l’impressione, dunque, che se ne ricava è che la storia del recupero crediti da parte di Bellini sia stata confezionata ad arte da apparati istituzionali deviati, di fronte alle prime dichiarazione di Gioè sul conto di Bellini, dichiarazioni che, successivamente, i medesimi apparati potrebbero essere riusciti a sopprimere e occultare. In sostanza Gioè potrebbe essere stato ucciso dopo avere manifestato la volontà di collaborare, esattamente come accadde quasi tre anni dopo, il 10 maggio 1996, a Luigi Ilardo, capomafia della provincia di Caltanissetta, assassinato dopo che era trapelata la notizia della sua volontà di collaborare».

Gli alberghi

Oltre al rapporto con Gioè, si accendono i riflettori anche sulla presenza, proprio a Enna nell’hotel Sicilia, sia di Bellini che di Enzo Giammanco, imprenditore condannato a 6 anni per mafia che Bellini ha negato di conoscere, considerato prestanome di Provenzano e parente dell’allora procuratore di Palermo Pietro. Quest’ultimo viene indicato come colui «che aveva ostacolato con determinazione l’attività di indagine di Paolo Borsellino, opponendosi tra l’altro acchè questi affiancasse il collega Vittorio Aliquò negli interrogatori di Gaspare Mutolo, grande accusatore del dott. Bruno Contrada (numero 3 del Sisde, poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa) e negando strenuamente al medesimo Borsellino, pur dopo la morte di Giovanni Falcone, la delega per la trattazione degli affari penali dell’area palermitana». Una delega che Giammanco comunicò a Borsellino alle 7.30 del giorno in cui il magistrato venne ucciso, con una coincidenza definita a inquietante. Di qui l’indicazione a vederci chiaro sulla presenza di Bellini negli alberghi siciliani, compreso quello di Cefalù tra l’11 e il 12 luglio 1992, una settimana prima della strage di via D’Amelio, all’hotel Kalura, nella stessa notte in cui nell’albergo soggiornava Biagio Renato Cacciolla, personaggio definito con precedenti specifici legati all’eversione nera da Roberto Tartaglia, magistrato e pm del processo Trattativa, di recente nominato vicecapo del Dipartimento degli Affari giuridici vicecapo del Dipartimento degli Affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi e già numero due del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap).