Gazzetta di Reggio

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L’allarme lanciato dalla Caritas

«Un centinaio di egiziani lavora in nero in edilizia, a Reggio il caporalato esiste»

Alice Benatti
«Un centinaio di egiziani lavora in nero in edilizia, a Reggio il caporalato esiste»

Inoltre donne dell’est che si sono rivolte alla Caritas nel 2022 hanno dichiarato di lavorare senza contratto nell’assistenza domiciliare. Per il direttore di Caritas Andrea Gollini «sono dunque necessarie politiche di immigrazione che tutelino le persone evitando che queste si inseriscano in canali di sfruttamento».

27 aprile 2023
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Reggio Emilia Dall’Egitto a Reggio Emilia per finire a lavorare nei cantieri...in nero. Nel 2022 un centinaio di egiziani seguiti dalla Caritas reggiana ha confidato al Centro d’ascolto di essere impiegato senza un contratto in edilizia. «Da un lato la presenza di lavoro nero nel territorio riguarda giovani uomini nordafricani, in particolare egiziani, arrivati qui spinti dal desiderio di trovare un’occupazione nel settore edilizio, dall’altra donne dell’est, soprattutto ucraine e georgiane, che fanno le assistenti domiciliari» ha denunciato Andrea Gollini, direttore della Caritas diocesana di Reggio Emilia e Guastalla, che invita ad essere consapevoli del fenomeno. E aggiunge: “Nella nostra città esistono anche dinamiche di caporalato».

Il report 2021-2022 sulla povertà “Nessuno si salva da solo” ci consegna un dato: nel 2021 hanno dichiarato alla Caritas reggiana di lavorare in nero trenta persone e nel 2022 oltre il triplo. «Un dato che non sorprende più di tanto – si legge nel documento – in quanto diverse sono le persone che svolgono lavori saltuari a giornata per riuscire così a permettersi alcune spese di gestione quotidiana». Per Gollini «sono dunque necessarie politiche di immigrazione che tutelino le persone evitando che queste si inseriscano in canali di sfruttamento». Su questo fronte è importante riportare anche un secondo elemento: sono aumentate le persone sprovviste di permesso di soggiorno che chiedono aiuto alla Caritas reggiana. Nel 2022 sono state 232, pari al 32,5 % (quasi uno su tre) del totale mentre nel 2021 la percentuale era del 21,2%. Tornando al rapporto tra povertà e lavoro, il direttore scatta una “fotografia”: «Da un lato, se guardiamo al 2021-2022, si osserva una leggera diminuzione delle persone disoccupate sul nostro territorio, che può essere spiegato dalla ripresa del tasso di occupazione. Ma abbiamo anche visto un aumento percentuale di coloro che, pur lavorando, si rivolgono a noi quindi questo ci interroga su come il lavoro non sia sufficiente per uscire dalla povertà: serve anche l’accompagnamento, la costruzione di un rete». «Dall’altra parte – prosegue – ci fa interrogare sulla qualità del lavoro di queste persone in termini di rapporto tra retribuzione e ore lavorate, part-time involontari o impieghi che si vanno a configurare come autonomi ma che sono in realtà subordinati. Diciamo che sono tutte caratteristiche che configurano lavori poveri capaci di esporre le persone alla povertà. Avere un lavoro non è garanzia dell’autonomia, come invece si spererebbe».