Gazzetta di Reggio

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Alluvione di Brescello

Torchiato il commissario: «Perché non avvisaste la gente?»

Ambra Prati
Torchiato il commissario: «Perché non avvisaste la gente?»

Di Matteo in tribunale: «La situazione era definita tranquilla dai tecnici»

30 settembre 2022
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Brescello «Voi vi siete posti il problema di avvisare la popolazione?». «Poteva essere rischioso. La situazione era definita dai tecnici tranquilla. Ho fatto tutto il possibile».

È stato uno dei momenti di difficoltà – non certo l’unico – di Giacomo Di Matteo, uno dei tre commissari straordinari che la sera dell’alluvione era presente a Brescello, all’epoca Comune commissariato per infiltrazioni mafiose. Il commissario è stato torchiato dall’avvocato Salvatore Tesoriero (per il Comune di Brescello), che lo ha incalzato: «Perché non avete attivato il Coc (centro operativo comunale) come fecero i Comuni limitrofi?». Un pressing che è continuato sul cosiddetto «franco originale», lo spazio tra il livello dell’acqua e l’altezza dell’argine all’origine della catena di sottostime e inerzia. Per i tecnici, ha replicato Di Matteo, «era di 80 centimetri, in linea con altre volte, non è certo il sindaco a fare le misurazioni: fui rassicurato».

È entrato nel vivo, ieri in tribunale a Reggio, l’istruttoria sull’alluvione di Lentigione, che ha visto sfilare davanti a un plotone di legali i primi testimoni dell’accusa, rappresentata dal pm Giacomo Forte. Il 12 dicembre 2017 il torrente Enza straripò inondando alle prime luci dell’alba la frazione brescellese, causando 1.157 sfollati e provocando una valanga di danni. La complessa indagine della Procura ha mirato a stabilire cosa non funzionò nel sistema di allerta e perché la marea di fango colse di sorpresa residenti e attività produttive. I tre imputati, tutti dipendenti dell’Aipo, accusati dopo l’inchiesta del Nipaaf dei carabinieri forestali di Reggio di inondazione colposa in concorso, sono i dirigenti Mirella Vergnani (difesa dall’avvocato bolognese Paolo Trombetti) e Massimo Valente (avvocato Giulio Garuti di Modena), il tecnico Luca Zilli (avvocato Amerigo Ghirardi di Parma). Ben 181 le parti civili. La prima a deporre è stata Federica Manente, responsabile dell’agenzia di Protezione civile. Manente ha relazionato sulle allerte ricevute nella notte tra l’11 e il 12 dicembre: «Sette aggiornamenti» dal centro di Bologna. E ha rievocato la riunione più importante, quella del Ccs (comitato coordinamento soccorso) svoltasi alle 23 dell’11 in prefettura, affermando che i commissari di Brescello non erano presenti: «C’era un loro delegato, erano impegnati in altre operazioni sul territorio».

Il commissario Giacomo Di Matteo (che ha gestito l’alluvione di Ghiarole) ha ripercorso quelle frenetiche ore, tra una girandola di telefonate e di spostamenti: dalla tarda mattinata dell’11 («Andai di mia sponte al Ccs sull’Enza in prefettura») al ritorno in municipio («per seguire il monitoraggio»), dai sacchi di sabbia («messi sulla sponda del ponte di Sorbolo») all’incontro serale del Ccs («mandai Sgrò perché responsabile della Protezione civile dell’Unione Bassa Reggiana e andai a casa a Cremona a prendere un cambio di abiti, prevedendo una lunga nottata»). All’una Sgrò lo aggiornò: «Il Ccs non ritenne sussistenti fenomeni esondativi. Situazione tranquilla». Alle 3 altre telefonate, «nessuna iniziativa oltre al monitoraggio degli argini dei volontari». «Alle 5.40 mi chiamò Bonini (Volmer, della Protezione civile regionale, ndr): era avvenuto il primo sormonto in via Imperiale». Al sormonto seguì la rottura dell’argine in più punti e il disastro. «Io e Bonini decidemmo di fare un sopralluogo, per capire il punto esatto». Ma lungo l’argine la situazione era già precipitata: «Incontrammo un funzionario Aipo che ci disse: “l’argine sta per cedere, andiamo via, è pericoloso”. Passando in auto urlava alle persone di salire ai piani superiori». Sull’orario della chiamata ricevuta da Vergnani, una degli imputati che avvisava «l’argine sta cedendo», il commissario si è corretto: «Erano le 5.38. No, le 6.38». Troppo tardi.