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Metalmeccanici Il 92% preferisce lo smart working

Serena Arbizzi
Metalmeccanici Il 92% preferisce lo smart working

L’inchiesta della Fiom tra gli impiegati  «Migliora le condizioni di vita e lavoro»

01 febbraio 2023
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i Serena Arbizzi

Reggio Emilia Il 92 per cento degli impiegati nel settore metalmeccanico vuole continuare o iniziare a lavorare in smart working.

È quanto rivela la sostanziosa inchiesta realizzata dalla Fiom Cgil di Reggio Emilia durante il 2022. Si tratta di uno studio che documenta lo stato dello smart working nelle aziende metalmeccaniche reggiane, con oltre 3.000 lavoratori coinvolti e 1.500 questionari raccolti, «per la più grande inchiesta sule condizioni del lavoro impiegatizio in questa regione negli ultimi anni», come afferma Simone Vecchi, segretario provinciale della Fiom.

L’indagine è stata presentata alla sede della Cgil in via Roma, oltre che dai vertici della Fiom, dagli altri enti con cui è stato realizzato lo studio: l’università Statale di Milano, rappresentata dalla professoressa Lisa Dorigatti, e l’Università di Modena e Reggio Emilia, con il professor Matteo Rinaldini, il quale lo scorso anno venne chiamato dal ministro del lavoro, Orlando, nel comitato di esperti sullo smart working. Al lavoro ha contribuito Matteo Gaddi dell’Ufficio Studi della Camera del Lavoro reggiana.

I 1.500 lavoratori che hanno partecipato, appartenenti a 22 aziende, hanno risposto a un questionario composto da 84 domande, che hanno messo un evidenza luci e ombre del lavoro da remoto. Il questionario è stato proposto in seguito a una trentina di assemblee che si sono svolte nella primavera del 2022. In più, sono state fatte 25 interviste di approfondimento con i lavoratori della Sacmi Forni & Filters di Casalgrande. Un tipo di lavoro, quello dello smart working, riscoperto nel 2020, con l’avvento della pandemia.

Prima del Covid, il 4%

Quando è stato compilato il questionario, oltre 4 lavoratori su 10 lavoravano da remoto, nella maggior parte dei casi una o due giornate alla settimana. Prima del Covid, invece, solo il 4 per cento dei partecipanti lavorava, talvolta, da remoto.

Entrando nel vivo dell’inchiesta, si scopre che il 92 per cento di chi ha la possibilità dello smart working, vorrebbe continuare e beneficiarne, l’80 per cento ha migliorato la conciliazione tra tempi di vita e lavoro, mentre il 74 per cento si dichiara soddisfatto del modo in cui svolge l’attività da remoto e solo il 5 per cento si dichiara insoddisfatto di questa condizione.

Altri aspetti significativi della ricerca riguardano la cosiddetta discrezionalità del lavoro “agile”. In altre parole, è smentito che sia una modalità di impiego che si possa svolgere “quando e dove si vuole”. La discrezionalità dei tempi sembra infatti essere piuttosto limitata. Oltre il 40 per cento degli intervistati, infatti, rivela di non aver alcun margine di scelta nell’orario di lavoro da remoto, mentre la metà sostiene di poter scegliere quando lavorare in una fascia oraria definita, mentre solo l’8 per cento in modo completamente libero.

«Si lavora di più»

Il 40 per cento degli intervistati afferma di lavorare un numero di ore più alto, mentre il 57 per cento conferma di essere impegnato per lo stesso tempo del lavoro in presenza. Gli straordinari, tuttavia, sono riconosciuti solo al 10 per cento di chi ha risposto alle domande.

Le spese

La maggior parte dei lavoratori ha, inoltre, la percezione di un risparmio lavorando da remoto, mentre il 30 per cento afferma di non aver notato cambiamento e il 15 per cento di spendere di più. Una voce, questa, registrata nel luglio 2022: alla luce dei costi attuali delle bollette, forse, oggi, le risposte sarebbero diverse. Le spese maggiori riguardano l’energia elettrica (88 per cento), gas e riscaldamento (81 per cento) e generi alimentari (64 per cento). Fra i “costi” economici con cui i lavoratori devono fare i conti c’è la mancata erogazione dei buoni pasto o del servizio mensa, riconosciuto solo nell’8 per cento dei casi.

Un altro aspetto analizzato è il controllo: i lavoratori da remoto, per il 43 per cento, non si sentono per nulla controllati quando svolgono le loro mansioni a distanza. Il 69 per cento, inoltre, dichiara di non sapere se c’è un controllo a distanza da parte dell’azienda.

La regolamentazione

«Quasi un impiegato metalmeccanico su otto ha risposto al nostro appello – rimarca Vecchi –. I lavoratori vogliono iniziare o continuare con lo smart working. Secondo i pareri raccolti, migliora le condizioni di vita e di lavoro e la conciliazione tra questi due aspetti. Ma serve una regolamentazione collettiva perché lo smart working sia un diritto individuale esigibile».

Questo senza dimenticare che tutta la fase post pandemica è stata caratterizzata dall’inflazione in rapporto con i salari.

Le donne e chi svolge attività esecutive (mansioni meno qualificate) dimostrano di avere meno voce in capitolo nel negoziare lo smart working con l’azienda rispetto agli uomini o a chi svolge attività di coordinamento – afferma Lisa Dorigatti –. Rispetto alle dotazioni strumentali, risulta che le imprese abbiano fornito computer e telefono nella maggior parte dei casi (l’80 per cento).

La postazione da remoto è spesso percepita spesso non adeguata. Il 13 per cento riporta di aver iniziato a soffrire di disturbi da quando ha iniziato a lavorare da remoto. I disturbi più diffusi sono mal di schiena e disturbi muscolari nel 17 per cento dei casi.

Per quanto riguarda le spese, «l’inchiesta è stata effettuata nel luglio 2022 – dice Dorigatti –. Probabilmente le considerazioni rispetto alle spese oggi sarebbero diverse. Non c'è alcuna compensazione dalle aziende per le maggiori spese per il 99 per cento degli intervistati. Un altro elemento problematico è dato dai buoni pasto, che non sono riconosciuti con il lavoro da remoto». «Da segnalare la particolarità del tessuto produttivo manifatturiero oggetto di ricerca – aggiunge Rinaldini –. La modalità ibrida che mescola il lavoro in presenza e da remoto è quella ambita dal campione intervistato».

Matteo Gaddi parla della ricerca simile che ha avuto modo di condurre a Milano, insieme alla Fiom, sulle imprese dell’Information and communication technologies.

«Tra gli aspetti in comune c’è l’allungamento del tempo di lavoro che, facendo un paragone tra le due città, risulta molto più marcato a Milano – rimarca Gaddi –. Secondo elemento comune è la prassi di ricevere comunicazioni al di fuori dell’orario di lavoro. Inoltre, riunioni e meeting vengono fissate sempre in orari extra lavoro. Anche in quel caso, le ore eccedenti non sono riconosciute come straordinari». l