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I giudici e gli avvocati entreranno nel casolare dove viveva Saman

Jacopo Della Porta
I giudici e gli avvocati entreranno nel casolare dove viveva Saman

Venerdì sopralluogo della corte e dei legali nella casa di via Cristoforo Colombo, in aula il racconto di quando il fratello decise di collaborare: «Pianse e poi si liberò»

14 aprile 2023
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Reggio Emilia Giudici e avvocati faranno un sopralluogo nel casolare dove viveva Saman Abbas. La richiesta di poter accedere all’edificio di via Cristoforo Colombo 103, che è sotto sequestro dal maggio 2021, è stata avanzata dagli avvocati Luigi Scarcella, Liborio Cataliotti e Mariagrazia Petrelli, che assistono rispettivamente gli imputati Nomanulhaq Nomanulhaq, Danish Hasnain e Ikram Ijaz. La presidente della Corte d’assise Cristina Beretti ha accolto questa istanza e ha deciso che anche i giudici si recheranno sul posto. Il sopralluogo è in programma per venerdì pomeriggio.

Ieri nel corso dell’udienza il comandante del Nucleo radiomobile operativo della Compagnia di Guastalla Antonio Matassa ha riferito delle perquisizioni effettuate nel casolare dove Saman viveva con i genitori e il fratello, e anche in quello distante circa 700 metri, in strada Comunale Novellara, in territorio di Campagnola, dove erano alloggiati lo zio Danish e i due cugini. Le foto degli interni del casolare degli Abbas, scattate nei primi giorni delle indagini e mostrate in aula, hanno evidenziato una condizione di grande disordine, con avanzi di cibo in tavola e spazzatura non buttata. Ancora peggiori le condizioni dello stabile di Campagnola, che oltre ad essere molto poco accogliente all’interno, appare anche piuttosto fatiscente dall’esterno. Sono dettagli, forse irrilevanti ai fini del processo, ma che mostrano le condizioni in cui vivono alcuni stranieri nelle nostre campagne.

Il rudere

Il luogotenente Matassa ha riferito delle indagini svolte dal 5 maggio in poi, data in cui i carabinieri presero atto della scomparsa di Saman e dei genitori, e poi nei giorni seguenti anche dello zio, dei cugini e del fratello della diciottenne. I militari giunsero rapidamente alla conclusione che la ragazza fosse stata uccisa, e che il corpo andasse cercato nei paraggi. «Il casolare di strada Reatino è stato il primo luogo dove siamo andati a vedere perché era quello che più si prestava a nascondere il cadavere». Ma allora perché non venne trovato nonostante l’impiego dei cani e di sofisticate tecnologie georadar? Il militare ha spiegato che quella tecnologia non viene usata all’interno delle costruzioni, ma solo in aree aperte, inoltre «la profondità della buca era elevata e l’argilla è un materiale che quando si compatta diventata impermeabile» e per questo «i cani non hanno fiutato nulla».

Alibi smontato

A proposito della buca, uno degli aspetti centrali del processo riguarda quando venne preparata. Per l’accusa le immagini che mostrano i cugini e lo zio con le pale, fuori dall’orario di lavoro, il 29 aprile, sono la prova della premeditazione. Ikram Ijaz aveva detto che quel giorno stava andando a coltivare l’orto e aveva aggiunto che alcuni cinesi residenti in zona lo avevano visto. Ieri in aula sono stati ascoltati proprio i coniugi asiatici che però hanno detto di non conoscere i tre e hanno negato di averli visti quel giorno.

Utenza misteriosa

Gli avvocati difensori, durante l’audizione di un altro teste, Luca Angelucci del Nucleo operativo e radiomobile di Guastalla, hanno posto l’attenzione su un’utenza telefonica, attivata il 27 aprile dal padre di Saman, attribuita erroneamente negli atti allo zio Danish. I legali hanno invece spiegato che questa utenza era in uso al fratello di Saman, che l’avrebbe utilizzata nei giorni seguenti per varie telefonate, anche ai genitori già in fuga. L’obiettivo dei difensori sembra quello di voler dimostrare quanto il ragazzo, che è il principale accusatore di tre imputati, fosse eterodiretto dai genitori e sostanzialmente in sintonia con loro.

Il luogotenente Matassa, ricostruendo i giorni in cui il minorenne venne fermato a Ventimiglia mentre tentava di espatriare, ha raccontato come sia poi arrivato a collaborare con gli inquirenti.

In particolare, il carabinieri ha un ricordo vivido, che risale al 15 maggio. «Mentre parlava della sorella si è emozionato. Si è accasciato, si è messo la mano sulla fronte e gli occhi diventarono lucidi».

Da lì in poi diventò più loquace e fu come se si fosse liberato da un peso.

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