Ludopatia, un male come la droga: in Emilia “pazienti” a centinaia
L’esperienza del Centro Sociale Papa Giovanni XXIII, fra i primi in Italia Il presidente Salati: «Percorso terapeutico individuale ma anche di gruppo»
Questa volta, la prima in Emilia Romagna, sono stati i gestori della sala giochi a essere condannati a risarcire le perdite al gioco, oltre 400mila euro, di un uomo affetto da ludopatia. Una recente condanna del tribunale di Bologna è già stata salutata come apripista ma, anche tralasciando i pareri legali che indicano quanto sia difficile dimostrare “l’induzione mediante profittamento” come in questo caso, rivelando peraltro qualche dubbio sulla tenuta della sentenza in appello, il problema della ludopatia si manifesta in tutta la sua gravità. Lo sa bene il presidente del Centro Sociale Papa Giovanni XXIII di Reggio Emilia, Fabio Salati, una realtà che dal 2000 si occupa di disturbi da gioco d’azzardo, «quando ancora la ludopatia non era considerata una patologia ma piuttosto un vizio», accogliendo persone che chiedono aiuto e che arrivano da ben più lontano dei confini provinciali.
La struttura
«Siamo stati fra le prime esperienze in Italia ad aprire nel 2013 una struttura residenziale per affetti da ludopatia – racconta Salati – e a oggi siamo una vera e propria struttura accreditata della Regione che può ospitare una quindicina di persone affette da disturbi da gioco d’azzardo». Il Centro Sociale ha anche un appartamento protetto di rientro sociale e lavorativo che può ospitare sei persone e che è in funzione dal 2018 con educatori e psicoterapeuti: una fase intermedia fra la residenza e la ripresa della propria vita. «Rispetto a chi è dipendente da sostanze – spiega il presidente del Centro – i percorsi di riabilitazione per la ludopatia sono più brevi, di solito massimo cinque o sei mesi: in molti casi si tratta di utenti che continuano ad avere una vita e un’attività lavorativa e che magari prendono periodi di malattia o di aspettativa per intraprendere percorsi di cura in residenza o in appartamento. Accogliamo pazienti da tutta Italia».
I percorsi
Il primo obiettivo entrando in residenza è prima di tutto porre «la giusta distanza dal gioco e dalle possibilità di giocare. Chi entra in struttura rimane in struttura e poi comincia un percorso terapeutico fatto di colloqui individuali ma anche di gruppo. Si sviscerano – racconta sempre Salati – le motivazioni per cui si diventa giocatori e si cerca di far prendere coscienza delle conseguenze della patologia, di quanto questa abbia fatto perdere: beni, persone. Molto spesso in tanti non si rendono conto del contesto che si muove attorno a loro. Altro punto fondamentale è la sensibilizzazione che si cerca di fare sul tema del denaro. Cerchiamo anche di abbattere i falsi miti: l’idea per esempio che si possa vincere facile e con queste vincite su possa cambiare vita. Tutti miti che nascono dalla società stessa: questi tipi di giochi – spiega il presidente – sono proprio costruiti per dar l’illusione che si sia vicini alla vittoria, che si sia perso per poco. Sono false percezioni che è importante portare alla coscienza di persone che hanno perso il contatto con la realtà. Basti pensare anche solo agli ambienti in cui sono inserite le slot machine: luoghi bui e chiusi che fanno perdere la percezione del tempo e dell’esterno con tutti quegli elementi di ipnosi, musiche, personale che ti porta da bere. È inevitabile che si perda la consapevolezza».
Il problema della ludopatia peraltro è trasversale: difficile individuare dei target: «Non ce n’è uno vero e proprio – riflette Salati – in tutti questi anni abbiamo visto arrivare l’imprenditore di successo così come la casalinga o il padre single».
Poche donne?
C’è però il tema «del femminile: il numero di donne prese in carico è inferiore a quello degli uomini – dice il presidente del Centro – ma in realtà non sono meno dipendenti dal gioco degli uomini. È solo che rientrano meno nei percorsi di cura perché socialmente rappresentano il punto di riferimento della famiglia e questo pregiudizio le trattiene di più dall’intraprendere percorsi nelle strutture».
Dipendenza difficile
«Il denaro c’è sempre, è l’elemento di dipendenza da cui non si può prendere le distanze per sempre, a differenza delle sostanze. I giocatori patologici devono quindi essere consapevoli di dover convivere con l’elemento della loro dipendenza – dice il presidente – però la percezione, nel processo di guarigione, è che sia un po’ più semplice uscire dalla dipendenza del gioco d’azzardo rispetto a quelle da sostanze». E in tutto questo la vicinanza della famiglia è fondamentale: «A volte si prendono le distanze per autotutela, ancora di più in una società che considera ancora la ludopatia un vizio, ma dove la famiglia c’è il percorso di recupero è più agevolato e i risultati sono più netti».
I numeri
Il Centro Sociale inoltre porta avanti gruppi terapeutici per giocatori e familiari e anche un servizio di formazione nelle scuole medie e superiori sulle dipendenze e la prevenzione. Importante soprattutto se si considera che secondo l’indagine Gaps Emilia Romagna condotta nel 2020, il 69% della popolazione regionale (18-84 anni) ha giocato almeno una volta nella vita. Inoltre, più di un terzo (36,3%) ha praticato il gioco d'azzardo nell'anno precedente la rilevazione. Nel 2020 poi, secondo i dati Sider Emilia-Romagna) tra le oltre 30.000 persone che si sono rivolte ai Servizi per le dipendenze patologiche (SerDP) dell'Emilia Romagna, 1.312 hanno cercato assistenza per il gioco d’azzardo, in diminuzione rispetto al picco di 1.724 utenti nel 2019. Degli assistiti complessivi, il 21,8% erano nuovi pazienti, oltre il 50% pazienti già noti e il 4,3% erano reingressi. Dal punto di vista socio-demografico, la maggioranza degli assistiti (82,6%) erano uomini e l'8% erano cittadini stranieri. La fascia di età più rappresentata era quella tra i 45 e i 59 anni, che comprendeva quasi il 40% dei soggetti; le persone over 65 costituivano il 15% dell'utenza. Per quanto riguarda le preferenze di gioco, le principali tipologie tra gli assistiti nel 2020 erano i videogiochi nei bar o sale gioco (67,1%), seguiti da Lotto, Superenalotto, Lotterie, Totocalcio, Gratta&Vinci (21,3%) e dalle scommesse calcistiche o altre da sala scommesse (10,2%).
C’è anche il nuovo Piano d’azione contro la ludopatia, 2022-2024 con la Regione Emilia-Romagna che ha a disposizione, per il 2023, 3 milioni e 322 mila euro, di cui gran parte (3,09 milioni) destinati a interventi a livello territoriale e trasferiti alle Aziende Usl e ai Distretti: Romagna 777.956 euro; Bologna 613.680 euro; Modena 489.790 euro; Reggio Emilia 467.690 euro; Ferrara 317.914 euro; Parma 314.426 euro; Piacenza 248.074 euro; Imola 92.470 euro. l
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