Gazzetta di Reggio

La peste suina è in Emilia

La peste suina è in Emilia

Trovato morto cinghiale infetto in alta Valtrebbia. L’assessore Donini: «Non è da sottovalutare» La produttrice Bacchiega: «Siamo tutti molto preoccupati, la biosicurezza non basta»

11 novembre 2023
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Bologna La peste suina africana è arrivata anche in Emilia-Romagna. Il primo caso confermato è in alta Valtrebbia, in provincia di Piacenza. Un cacciatore che ha trovato una carcassa sospetta di cinghiale nei boschi di Ottone, lungo il sentiero “del postino”, ha avvertito il servizio veterinario dell’Ausl.

I test hanno confermato che si trattava del temuto virus, contagioso sia per la fauna selvatica che per i suini domestici, ma non per l’uomo. Dopo i casi già confermati in Liguria e Piemonte, in alcune aree dell’Emilia-Romagna, tra cui lo stesso comune di Ottone, erano già in vigore misure straordinarie di sorveglianza, prevenzione e controllo della malattia.

«Non ci può essere un atteggiamento di sufficienza e superficialità rispetto al tema dalla peste suina, che rischia di mettere in grave difficoltà un settore importante come quello legato alle carni», è l’appello dell’assessore regionale alla Sanità, Raffaele Donini.

Lunedì ci sarà una riunione dell’unità di crisi regionale e del gruppo operativo territoriale per decidere se sono necessarie ulteriori misure per fermare la diffusione della malattia.

«Tutti gli allevamenti stanno mettendo in atto prassi di biosicurezza. Già per legge c’erano delle pratiche come la pulizia dei camion all’ingresso, le zone filtro e dovevamo prestare molta attenzione. Adesso c’è un’allerta generale e siamo tutti molto molto preoccupati», dice Davide Bacchiega, direttore dell’azienda agricola Benfenati, di Zagonara di Lugo, nel Ravennate.

Quando a maggio è arrivata l’onda di piena, ha fatto di tutto per salvare i maiali dell’allevamento dall’acqua. Adesso la peste suina «potrebbe essere un’altra alluvione: se dovesse arrivare, tutti i capi dovrebbero essere abbattuti».

Oltre a correre ai ripari, però, per Bacchiega «ci si deve anche interrogare sull’origine di questo virus».

«Il problema arriva dall’Oltrepo, che è diviso in tre fasce collinari e nell’area del passo del Penice era pressoché impossibile cacciare. L’esito è stato il proliferare di una massa enorme di cinghiali, ma adesso la malattia c’è e non si può pensare di arginare con la biosicurezza un problema di mancata gestione della fauna selvatica».

Sulle stesse posizioni è anche Marcello Bonvicini, presidente Confagricoltura Emilia-Romagna.

«Occorre una nuova legge sulla caccia, quella in vigore risale a 30 anni fa – fa notare – . Nel frattempo i cinghiali, che tra l’altro rappresentano il principale veicolo di diffusione della peste suina africana, dopo aver danneggiato le coltivazioni in cerca di cibo, arrivano fino al cortile di casa mettendo a rischio l’incolumità delle persone».

Per Bonvicini, in ogni caso, adesso «salvaguardare la filiera regionale delle carni e dei salumi dal pericolo peste suina africana diventa un obiettivo prioritario. Bisogna preservare il patrimonio suinicolo, tutelare allevatori e agricoltori, difendere produzioni e posti di lavoro».

Proprio per cercare di contenere il fenomeno, la Regione ha disposto con un’ordinanza che chiunque veda una carcassa di cinghiale, ovunque essa si trovi, sia tenuto ad informare il servizio veterinario dell’Azienda Usl competente per consentire che vengano effettuati i test. Esiste un numero unico regionale 051.6092124 che inoltra la chiamata alla Ausl competenti per territorio.

L’invito di viale Aldo Moro è a non sottovalutare la situazione. «Come regioni, in particolare Emilia Romagna e Lombardia, siamo ad evidenziare delle possibili soluzioni per quello che ci compete, ma c’è un’autorità commissariale e ci rimettiamo a quello che il commissario intende svolgere», dice Donini che si augura «che si mettano in campo tutti gli strumenti straordinari che un commissario può utilizzare per arginare il fenomeno». l

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