Gazzetta di Reggio

Il procuratore: «Saman una sovversiva: ha sfidato i disvalori del clan»

Jacopo Della Porta
Il procuratore: «Saman una sovversiva: ha sfidato i disvalori del clan»

«Gli Abbas simili a una ’ndrina: lei come una vittima di mafia»

18 novembre 2023
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Reggio Emilia Una ragazza animata da un insopprimibile anelito di vita, così forte da apparire folle agli occhi della sua famiglia, tanto è vero che la madre si riferiva a lei come «la pazza». Una ribelle alla quale «era bastato aver compreso in modo superficiale le condizioni di vita occidentali per maturare l’idea di volere una vita diversa rispetto a quella che i genitori volevano imporle». Nella sua requisitoria il procuratore capo Calogero Gaetano Paci ha omaggiato la figura di Saman, riportandola così in modo prepotente al centro della scena.

«Nessuno dei protagonisti di questo processo – ha detto il magistrato – ha voluto mostrare un cedimento ad un sentimento di umana pietà per l’orrore e lo strazio compiuto verso questa ragazza».

Un sentimento di pietà che, invece, ha pervaso gli interventi in aula della pubblica accusa.

Il procuratore Paci ha ricordato che il ruolo del suo ufficio è quello di offrire alla Corte «un progetto di sentenza che sia tecnicamente e giuridicamente inattaccabile, documentabile, riscontrabile e che sia anche eticamente profondamente accettabile per restituire giustizia a questa ragazza».

Di Saman ha voluto evidenziare «la forza destabilizzante che ha esercitato nel suo contesto familiare». Una ribellione agli pseudovalori del clan che definisce una «forza sovversiva, sebbene inconsapevole, perché in fin dei conti lei voleva soltanto camminare per strada mano nella mano o poter dare un bacio».

Il procuratore ha voluto elevare il caso di cronaca, «terribile e di una tragicità immane», a vicenda di portata universale che interroga la coscienza di ogni persona. Non solo perché si è trattato del «più odioso, atroce, aberrante e malvagio delitto che possa essere concepito: quello commesso dai genitori verso una figlia, con l’aiuto di altri familiari». Ma anche perché «Saman, in fondo, esprime una contraddizione eterna dell’individuo. Tra il desiderio di libertà e il desiderio di vita», da una parte, e «la repressione, l’autoritarismo e il soffocamento di ogni desiderio di autonomia» dall’altra.

Questa riflessione ha fornito l’occasione al procuratore di compiere un parallelismo con i contesti di mafia che ha conosciuto in prima persona nella sua carriera di uomo di legge. «Saman è come le donne vittime della mafia alla cui logiche avevano osato ribellarsi». Ha ricordato le figure di donne siciliane, come Lia Pipitone, figlia ribelle di un boss, e calabresi, come la testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola e Francesca Bellocco, che hanno pagato con la vita il fatto di aver voltato le spalle ai disvalori della mafia e della ’ndrangheta. E ha paragonato la struttura clanica della famiglia Abbas a quelle delle ‘ndrine calabresi.

Nella sua requisitoria si è anche soffermato sul ruolo della madre Nazia, la grande assente di questo processo. Ha ripercorso la notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021, quando Saman venne accompagna fuori dall’inquadratura della telecamera dalla madre, con una «impassibilità, freddezza, glacialità, lucida malvagità che non ha eguali».

Dopo mesi di udienze, spesso dedicate ad aspetti tecnici e giuridici, il procuratore ha voluto ricordare a tutti, e in particolare ai giurati, chi era Saman. Si è soffermato sulla solitudine dei suoi ultimi giorni di vita nel casolare di Novellara, fino alla notte fatale nella quale il suo anelito di vita e libertà venne soffocato per sempre. l


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