Liste d’attese lunghe e personale esasperato: viaggio dentro la crisi della sanità
Il sistema Emilia resta un modello a livello nazionale ma i problemi da risolvere sono davvero tanti
Vero è che la sanità pubblica dell’Emilia Romagna resta una delle migliori d’Italia, secondo i periodici “report”, ma per i 4,4 milioni di abitanti regionali non è il classico bicchiere mezzo pieno.
Anche in Emilia Romagna e da Piacenza a Rimini, infatti, le liste d’attesa per visite ed esami hanno tempistiche lunghissime, la fuga di dottori e infermieri dai pronto soccorso e del medico di base dagli ambulatori è pressoché quotidiana esattamente come lo sono le aggressioni verbali e fisiche al personale sanitario.
Pianeta sanità, ecco un tema fondamentale nell’agenda del nuovo presidente della Regione scelto con le elezioni di domenica e lunedì tra Michele de Pascale, Elena Ugolini, Luca Teodori e Federico Serra.
Tra tutti i problemi che, come vedremo, segnalano le associazioni dei consumatori e i sindacati di categoria (e quelli confederali ovviamente) forse il rischio principale è quello sollevato da Marzio Govoni, presidente di Federconsumatori Modena: «Purtroppo nei cittadini è avvenuta una sorta di rottura nei confronti del sistema sanitario, tanto che non ne sono più orgogliosi, non lo percepiscono più come una loro eccellenza. Temo che il nuovo presidente di Regione rischi una bomba sociale sulla sanità».
Raccogliere il cahiers de doléances, l’elenco di cosa non va in ambito sanitario in Emilia Romagna, non significa certo dimenticare le migliaia di medici, infermieri e altro personale che ogni giorno fa il proprio dovere in mezzo appunto a tante difficoltà.
Il lamento dei medici
«La situazione è davvero catastrofica - spiega Pietro Pesaresi, vicepresidente di SNAMI Emilia Romagna (sindacato medici italiani) - e siamo davanti a un sistema ormai quasi ingestibile purtroppo, peggiorato notevolmente negli ultimi anni. Sulle problematiche interveniamo spesso perché è fortissimo il tema della fuga a causa di stipendi non adeguati e anche della filosofia organizzativa delle Aziende sanitarie, soprattutto riguardo i Cau e la gestione dei rapporti con i medici di famiglia. La burocrazia, inoltre, toglie tempo prezioso alla cura dei pazienti e aumenta il carico di stress per i medici di famiglia. Su questi ultimi peraltro occorre anche ricordare che la Regione attiverà dal primo gennaio prossimo l’accordo nazionale che prevede una fusione della loro attività tra i pazienti e la presenza nei Cau, facendo così fare obbligatoriamente a questi colleghi anche i turni della guardia medica. I giovani medici in questa maniera fuggiranno verso altri settori della medicina perché questo sistema misto dovranno poi portarselo avanti fino alla pensione a 68-70 anni. E così oggi nei bandi regionali si presentano meno medici dei posti assegnabili».
Pesaresi è durissimo: «A questo proposito segnalo che nei giorni scorsi, guarda un po’, la Regione non ha reso noti i posti vacanti come ha sempre fatto: le carenze, comunque, sono quasi di 2mila unità. A nostro modo di vedere il disegno è eliminare la professione del medico di medicina generale, l’unico professionista oggi dotato di autonomia che collabora ma non è dipendente delle Ausl. Ma i problemi sono infiniti, dall’emergenza urgenza ormai praticamente abbandonata a se stessa perché molte delle risorse vanno ai Cau (centri di assistenza e urgenza nati privi di personale) fino al trattamento del personale sanitario come fosse bestiame».
Il grido degli infermieri
«Le aggressioni a noi sanitari - dice Giovanni Pregnolato, responsabile a Ferrara di Nursing Up, il sindacato di categoria di infermieri e altri operatori sanitari - hanno ormai carattere nazionale grazie anche alla sensibilità dei media, ma purtroppo le soluzioni continuano a essere troppo blande forse perché le aziende sanitarie hanno i vertici molto politicizzati, legati a obiettivi di mandato che non è detto coincidano esattamente con i bisogni dei pazienti e degli operatori. E poi da parte della classe politica c’è finto ascolto, inoltre quando c’è una aggressione prevale la burocrazia mentre occorre pensare a una forma di sorveglianza precisa in collaborazione con questure o istituti di vigilanza privati. Servono cambiamenti strutturali soprattutto nei pronto soccorso e anche l’ampiezza dei turni è fondamentale visto che il personale stanco incide sui rapporti con i pazienti. Infine invitiamo a pensare che noi infermieri abbiamo vincoli di esclusiva che i medici non hanno».
La rabbia degli utenti
Marzio Govoni vede il pianeta sanità non dal punto di vista del personale, ma da quello degli utenti, ma i toni non cambiano: «Sono in crisi gli utenti ed è in crisi il personale sanitario per tante motivazioni. Anzitutto c’è un tema di risorse venute meno negli anni: il governo attuale ha ridotto il fondo sanitario di 4 miliardi di euro, ma va anche ricordato che nel decennio precedente il covid altri governi hanno tagliato 37 miliardi di euro in tutto. A me pare, come accennavo, che il pubblico ormai non percepisca più come una eccellenza la nostra sanità regionale visto che tantissimi cittadini lamentano tempi lunghissimi e impossibilità di accedere alle prestazioni pubbliche per le quali si pagano ancora le tasse: molti così sono costretti a passare al privato che infatti aumenta notevolmente la sua presenza. Peraltro ciò appesantisce i conti delle famiglie».
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