Caso Saman, quando giustizia e buon senso coincidono
La sentenza di secondo grado riconosce la premeditazione e la responsabilità di tutti gli imputati: ecco perché è un giudizio logico
Reggio Emilia La giustizia non ha tra i suoi obiettivi quello di conciliarsi sempre con il buon senso. Anche perché spesso questo non va a braccetto con le necessarie garanzie processuali. Per fortuna, le accuse devono essere provate e le condanne comminate solo quando la colpevolezza emerge oltre ogni ragionevole dubbio.
Eppure, la sentenza di Bologna con la quale sono stati condannati tutti e cinque gli imputati e riconosciute le aggravanti della premeditazione e dei motivi futili o abietti – a differenza di quanto avvenuto in primo grado a Reggio Emilia – appare come uno di quei casi nei quali la realtà processuale si concilia con il buon senso.
Fin dal maggio 2021, quando si seppe che una ragazza di 18 anni, che aveva denunciato la famiglia per un tentativo di matrimonio forzato, era scomparsa dalle campagne di Novellara, si pensò a un delitto d’onore nel quale tutti i familiari fossero coinvolti. La responsabilità penale è individuale, come recita la Costituzione, ma è anche chiaro che questo genere di omicidi implica spesso scelte collettive.
Veri e propri sacrifici umani portati a termine per salvare l’onore del gruppo. Non era nemmeno pensabile che un epilogo come quello che si è consumato tra le serre di Novellara non fosse stato premeditato. Del resto, nel novembre del 2020, quando i servizi sociali tolsero Saman ai genitori, il padre Shabbar non disse, profeticamente: «Quando sarà maggiorenne ci penserò io?».
Infine, la sentenza di Bologna rappresenta un riconoscimento per i carabinieri, la procura reggiana diretta da Calogero Gaetano Paci e la pm Maria Rita Pantani che ha preparato l’appello ed è stata applicata al processo.
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