Colpito col taser e morto in ospedale, i testimoni: «Era fuori di sé, chiedeva aiuto e si è lanciato dalla finestra»
Claudio Citro è morto al Santa Maria Nuova di Reggio Emilia dopo aver seminato il panico a Massenzatico ed essere stato fermato dalla polizia
REGGIO EMILIA. «Stavo ancora dormendo e le urla mi hanno attirato. Mi sono affacciato alla finestra pensando a un incidente stradale e ho assistito dal vivo ai momenti concitati; quell’uomo era davvero fuori dal mondo». Massenzatico è un paese sotto shock. Il piccolo paese di campagna alle porte di Reggio Emilia, infatti, si scopre fragile e vulnerabile; nei locali e negli uffici non si parla d’altro, specialmente al bar Sara dove Claudio Citro, il 41enne colpito con il taser dalla polizia e poi morto all’ospedale Santa Maria Nuova, è andato ieri mattina, 15 settembre.
Cos’è successo: le parole dei testimoni
Il barista ci dice di non aver assistito alla scena ma che la sua collega ha consegnato tutto agli agenti, a partire dai filmati registrati dalle telecamere della videosorveglianza. Secondo quanto gli hanno riferito, il grido “aiuto, aiuto” da parte dello stesso Citro è stato quello più ricorrente. Daniele, inquilino dell’abitazione sopra al forno Castagnoli, racconta: «Non ho visto il taser perché il tutto è avvenuto tra l’interno e lo spazio sotto la veranda – prosegue –. Ho sentito che quella persona diceva frasi del tipo “Vogliono ammazzarmi” ma ho capito che era davvero poco lucido. Poco dopo è arrivata l’ambulanza». Anche la mamma del ragazzo, affacciata al balcone, fa fatica a trovare le parole per descrivere quanto accaduto. La famiglia sino a due anni fa gestiva il forno, che poi è stato ceduto agli attuali proprietari: «Ho sentito tanta confusione e le urla. Dobbiamo ancora realizzare», precisa. In via Borromini 19, da dove Citro si sarebbe lanciato dalla finestra, lavorano gli uomini della polizia scientifica. A lato, seduti sul marciapiede, il padre, in lacrime, e due vicine di casa, che cercano di consolarlo offrendogli un bicchiere d’acqua. Una delle due afferma di abitare al piano di sopra e di aver sentito, poco dopo le 5, un forte boato dovuto al lancio di Citro dal balcone. «Sembrava un terremoto», dice. L’altra racconta di aver chiamato i soccorsi una volta accertata la pericolosità della situazione: «Io e mio marito ci siamo spaventati, quell’uomo infatti urlava a gran voce. Era vestito con una maglia e un pantaloncino, e non aveva le scarpe. Poco dopo sono andata al bar a fare colazione e mi sono ritrovata l’uomo che era agitatissimo; l’ho visto tirare un pugno anche al defibrillatore; è in quel momento che ho chiamato le forze dell’ordine». Citro, per le due donne, non era un volto conosciuto, ma quanto accaduto non può lasciare un senso di vuoto e tristezza: «Non stava rubando e tanto meno era armato, chiedeva soltanto aiuto. In ogni caso c’erano altri modi per fermarlo: non si può morire così».
Chi era Claudio Citro
Non era certo uno sconosciuto in città, Claudio Citro, soprattutto alle forze dell’ordine reggiane che, negli ultimi quindici anni, si sono più volte imbattuti nel 41enne originario di Salerno, protagonista di episodi di cronaca nera e finito al centro di alcune indagini. L’uomo morto ieri mattina in ospedale, dopo aver seminato il panico a Massenzatico ed essere stato colpito con il taser dalla polizia, che non sapeva più come fermarlo, non è nuovo alla cronaca reggiana. Il 41 enne, che si divideva tra Montecatini (Pistoia) e Reggio Emilia, dal 2011 è stato infatti coinvolto in diversi procedimenti penali, subendo anche alcune condanne. Dalle minacce a un accertatore della sosta, con tanto di calci sferrati alla portiera di una Volante della polizia, su cui era stato condotto in questura, al sequestro di persona di un giovane residente a Parma che, insieme a un complice, aveva rinchiuso in un garage di Reggio e minacciato di morte. L’ostaggio, però, era riuscito a fuggire approfittando di un attimo di distrazione del complice. Nello stesso periodo, era stato condannato per usura. Reato che gli aveva causato nuovi guai nel 2016, quando finì in carcere in seguito all’operazione “Don Matteo”, condotta dai carabinieri: un imprenditore reggiano aveva denunciato gli elevati interessi che Citro e gli altri pretendevano per i prestiti di denaro concessi. Nel 2024, difeso dall’avvocato Federico De Belvis, era stato condannato (sentenza confermata in Appello) a un anno e nove mesi per il reato di stalking aggravato nei confronti dell’ex compagna e per il reato resistenza a pubblico ufficiale nei confronti dei carabinieri, intervenuti in aiuto della donna. Un rapporto che si era chiuso per volontà di lei e che lui, evidentemente, non aveva accettato, diventando la sua “ombra” e costringendola a cambiare le proprie abitudini di vita per evitare di veder spuntare ad ogni angolo l’ex.
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