Gazzetta di Reggio

Reggio

Attentato in stile ’ndrangheta

Attentato in stile ’ndrangheta

L’ordigno è stato piazzato sotto una macchina - in uso a un muratore di origine calabrese residente in città - in via Caliceti, al Quinzio. La deflagrazione ha mandato in pezzi il paraurti posteriore dell'auto, una Citroën C5. Intorno, le auto parcheggiate vicino alla Citroën C5 sono danneggiate, così come parte della facciata del palazzo che confina con il parcheggio dove è avvenuta l’esplosione

09 maggio 2010
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REGGIO. La mente corre a 12 anni fa, quando alle 22, nel bar «Pendolino» di viale Ramazzini, a Santa Croce, scoppia una bomba. I ricordi - quelli sempre vivi nella memoria degli investigatori - volano a quell’episodio mentre la radio delle gazzelle dei carabinieri e delle volanti «gracchia» dando le prime sommarie notizie. Sono da poco passate le 22 di venerdì sera e in un attimo, un parcheggio di via Caliceti, al Quinzio, si trasforma nel set - purtroppo reale - in cui lavorano freneticamente i militari della Scientifica.
E’ scoppiata una bomba.

Un episodio inquietante e misterioso. Un boato fragoroso sveglia un intero quartiere e apre un capitolo su una possibile nuova guerra di ’ndrangheta, nella quale qualcuno deve vendicarsi e in cui vanno ristabiliti equilibri improvvisamente scostati. E’ in questo scenario - ancora nebuloso - che si muovono gli investigatori coordinati dal sostituto procuratore Isabella Chiesi che ieri, considerata la delicatezza della situazione, ha preferito non commentare, chiusa nel suo ufficio in un fine settimana infuocato.

L’ESPLOSIONE.
Le prime telefonate al 113 arrivano poco dopo le 22. I cittadini del Quinzio segnalano un boato proveniente dalla strada e indicano un parcheggio in via Caliceti. La prima ad arrivare è una volante della polizia, seguita a ruota da una pattuglia della Mobile. Poi arrivano i carabinieri, competenti per zona, e i militari accorsi chiedono subito rinforzi. La scena che si presenta agli investigatori non è quella «classica» di un incendio doloso, C’è qualcosa di più grave. Inquietante. Il paraurti posteriore di una Citroën C5 è distrutto, esploso in mille pezzi.

Intorno, le auto parcheggiate vicino a quella station wagon, sono danneggiate, così come parte della facciata del palazzo che confina con il parcheggio dove è avvenuta l’esplosione. E’ un attentato, un’intimidazione. Parte una chiamata alla caserma dei vigili del fuoco e i pompieri, in pochi minuti, raggiungono via Caliceti per mettere in sicurezza la zona. In pochi istanti si precipitano gli investigatori del nucleo operativo, di quello informativo e della Scientifica.

Il particolare che emerge immediatamente non lascia alcun dubbio: qualcuno ha inserito, tra la marmitta e uno degli pneumatici della macchina, un tubo metallico con all’interno dell’esplosivo. Ha acceso la miccia e lo ha fatto esplodere.
Da questo momento inizia un’indagine sulla quale regna il massimo riserbo, ma che dà la possibilità di tracciare un quadro preoccupante.

ORDIGNO ARTIGIANALE.
La bomba piazzata sotto l’auto è di fattura artigianale.
Non vengono ritrovati frammenti di un ipotetico timer né particolari che possano indurre gli investigatori a ipotizzare che in azione possa essere entrato un artificiere provetto. Chi ha piazzato l’ordigno lo ha preparato con pochi mezzi a disposizione, con una percentuale di esplosivo tale «solo» da fare danni.

C’è però un altro particolare che emerge già durante il primo sopralluogo. Le auto danneggiate e la facciata del palazzo sono «bucherellate».
Non sono colpi di pistola, ma i danni provocati dai frammenti di carrozzeria della macchina esplosa. Tra quei piccoli fori, però, ci sono anche dei frammenti di bulloni. Un elemento considerato importante dagli investigatori perché potrebbe confermare come all’interno dell’ordigno fossero presenti proprio dei bulloni, installati appositamente per creare maggiori danni.

LE INDAGINI.
Che quanto accaduto sia un episodio grave, lo dimostra l’arrivo, intorno alle 2, del comandante provinciale dei carabinieri, il colonnello Giovanni Fichera che, insieme al maggiore Vittorio Boccia, rimane a lungo in via Caliceti per seguire da vicino il lavoro dei militari della Scientifica.
Tutto il materiale viene repertato e sequestrato, così come vengono accuratemente misurati i buchi provocati dai bulloni della macchina esplosa e già in nottata, quanto evidenziato, viene «girato» agli esperti del Ris di Parma per un’ulteriore valutazione.
Ieri mattina, il prefetto Antonella De Miro viene messa al corrente di quanto accaduto, mentre il sindaco Graziano Delrio si mette in contatto con il questore Francesco Perucatti.

«E’ un episodio inquietante e molto grave per la nostra città - dice il sindaco - sul quale sono certo che gli investigatori faranno luce al più presto».
Già durante il primo sopralluogo, gli investigatori risalgono al proprietario della macchina, un uomo di origine veneta ma residente a Rubiera. E’ lui «ufficialmente» il proprietario della macchina, che in realtà è in uso a un giovane muratore di origine calabrese.

Ed è su questo punto che ora si focalizza il lavoro degli investigatori che per ore interrogano l’uomo, mentre si fa largo una pista investigativa che mettere in relazione quanto accaduto in via Caliceti con l’indagine della Finanza, culminata a inizio settimana, con l’arresto di cinque persone accusate di usura.
Una pista che gli investigatori stanno battendo con forza e che potrebbe rappresentare uno scenario fatto di vendette e ritorno di equilibri. Un caso delicato e sul quale sta lavorando anche la Mobile che sta vagliando la posizione di altre persone che potrebbero essere coinvolte in una storia ancora troppo misteriosa.