Gazzetta di Reggio

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«Chiedevo e nessuno mi dava risposte»

di Miriam Figliuolo
«Chiedevo e nessuno mi dava risposte»

Guastalla: parla la giovane madre che ha perso la bimba durante il parto con taglio cesareo disposto d’urgenza

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GUASTALLA. Il dolore immenso non frena la loro voglio di sapere, di dare un perché alla morte della loro bambina. Sono i genitori della neonata nata morta all’alba di venerdì, all’ospedale di Gustalla, e su cui ora indaga la Procura. Disposta anche l’autopsia

Si chiamano Omar Serkious e Latifa Bouqala, 31 anni lui, impiegato presso la CoopSette, e 26 lei, entrambi di origine marocchina e residenti a Castelnovo Sotto. I due giovani si apprestavano per la prima volta a diventare papà e mamma con l’immaginabile entusiasmo, misto alla preoccupazione che in tutti i neogenitori accompagna le fasi della gestazione e del parto. Mai avrebbero immaginato che il più terribile degli incubi potesse diventare realtà.

Stanno vivendo questo momento di grande dolore con estrema compostezza e dignità. Ma vogliono anche sapere. Sapere se davvero è stato fatto tutto il possibile per la loro bambina. Raccontano, Latifa e Omar, tutte le ultime fasi della gestazione, le visite e i controlli, come per fugare da loro, prima che dagli altri, qualsiasi dubbio che a provocare la morte della piccola possa essere stata una loro leggerezza o mancanza.

E nello stesso tempo le loro parole raccontano di un altro tremendo sospetto: che la sua morte possa essere dovuta a qualche errore commesso dal personale medico o infermieristico.

Un dubbio che fin dai primissimi momenti, dopo il ritorno in reparto della donna, li ha indotti a rivolgersi a un legale.Con l’avvocato, Matteo Marconi, del foro di Reggio, Omar Serkious è andato dai carabinieri per fare l’esposto, mentre ancora sua moglie, distrutta dal dolore, era in ospedale, dove rimarrà per qualche giorno.

«Giovedì, alle 11, sono entrata in reparto che avevo le contrazioni – dice Latifa Bouqala – Il battito della bambina c’era e c’è stato fino a che sono entrata in sala parto, intorno alle 2 del mattino. Erano trascorsi dieci giorni dalla data presunta del parto, che era il 10. Alle visite precedenti mi avevano sempre rimandato a casa e anche in quelle occasioni il tracciato era normale. Anche lunedì, all’ultima visita».

La giovane racconta delle lunghe ore trascorse in reparto e poi del difficile travaglio in sala parto fino alle 3.46, quando è stato deciso il taglio cesareo. «A quell’ora l’utero non era ancora pronto – ricorda – Io chiedevo perché e come stesse la bambina, ma nessuno mi rispondeva. Un medico e un’ostetrica, intervenuti mentre ero in sala parto, hanno cominciato a spingermi con le braccia sull’addome. Le mie urla devono essere arrivate fino al parcheggio. Hanno usato anche la ventosa, ma non è servita».

Lo shock più grande in sala operatoria, sotto l’effetto dell’anestesia epidurale. «Mi sentivo trattare come un cadavere durante un’autopsia – si sfoga la giovane, comprensibilmente provata dal forte trauma – Continuavo a chiedere, ma invano. E poi non ho sentita piangere la mia bambina... Il suo corpicino l’ho potuto vedere solo il giorno dopo».

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