Trova la cassetta di sicurezza vuota
La 46enne denuncia la sparizione di gioielli e denaro per oltre 300mila euro, la banca risponde: «Li avete presi voi»
Andare in banca e trovare la propria cassetta di sicurezza, custodita nel caveau, completamente vuota.
A raccontare la paradossale vicenda è Monica Franceschetti, manager 46enne. Che dentro a quella cassetta custodiva un prezioso patrimonio: qualcosa come 246.500 euro in contanti e alcuni goielli in oro (tre anelli, una catenina, un bracciale) del valore di circa 70mila euro. Archiviata senza un colpevole l’inchiesta penale, ora la vicenda sarà giudicata dai giudici del tribunale civile, a cui la donna e la madre (delegata con lei all’utilizzo) rappresentate dagli avvocati Enrica Sassi e Andrea Boni si sono rivolte. Dall’altra parte c’è la Banca San Geminiano e San Prospero.
LA CASSETTA VUOTA. Tutto inizia il 12 agosto del 2010. Quando la Franceschetti si rivolge alla sede centrale della banca, in via Roma, pronta a vuotare la sua cassetta di sicurezza per trasferire denari e preziosi in un altro istituto bancario, più vicino a casa.
Quando apre, però, la cassetta è vuota. Dentro non c’è nemmeno il bauletto antirapina, che la compone. «Sono rimasta sorpresa e incredula. Ho creduto a uno sbaglio...» racconta la donna. Ma per la banca non c’è nessuno sbaglio. Quella è la sua cassetta di sicurezza.
Parte la chiamata ai carabinieri, il ricorso a un avvocato – la Sassi, appunto – e tutte le contestazioni del caso. Denuncia compresa all’autorità giudiziaria.
«La prima risposta scritta della banca è stata che è impossibile aprire la cassetta senza la compresenza del cliente e dell’operatore della banca. E giustifica l’assenza stessa del bauletto interno perché non tutte le cassette ne sono dotate» spiega l’avvocatessa Sassi.
LE INDAGINI. La questione è complessa. Perché la procedura per l’utilizzo delle cassette di sicurezza, in teoria, è molto rigorosa. Ogni volta che il cliente si reca in banca per aprirla, l’accesso viene registrato. E per aprire servono due chiavi, azionate contemporaneamente: quella universale della banca e quella, unica, del cliente. Una senza l’altra non servono a niente. L’ultimo accesso prima del 12 agosto del 2010 – quando cioè la titolare scopre la cassetta vuota – risale a molti anni prima. Precisamente al 18 luglio del 2003, quando è la madre a recarsi in banca. «Per depositare alcuni gioielli in vista di un trasloco» spiega la figlia.
A coordinare le indagini in procura è la dottoressa Stefania Pigozzi. Che come prima cosa chiede all’istituto bancario se in quei sette anni siano state effettuate manutenzioni a quella cassetta di sicurezza.
«Il personale sentito in procura ha detto di no – racconta la Sassi – mentre l’azienda bolognese incaricata delle manutenzioni una volta interpellata produce una fattura che testimonia come tre giorni dopo l’ultimo nostro accesso, nel 2003, abbia fatto un intervento su quella per la sostituzione della chiave al bauletto antirapina interno. Di cui noi non sappiamo niente». «E’ infatti pacifico - sottolinea l’avvocato Boni - che le mie assistite non c’erano quando c’è stato questo intervento tecnico. Intervento che è stato tenuto nascosto dalla banca, sino a che non è emerso dall’azienda che ha fatto i lavori. La quale, a riprova di questo, ha intestato la fattura alla banca e non alla titolare della cassetta. Perché è stata sostituita la chiave? E come è stato possibile aprire senza la nostra chiave? Questo non lo sappiamo. In ogni caso, se la sostituzione fosse stata richiesto dalla madre della Franceschetti, i documenti lo dovrebbero dire. Invece, anche l’impiegato che accompagnò la donna nel luglio del 2003, sentito a sommarie informazioni disse che non c’era stato niente di particolare. Altrimenti sarebbe seguita immediata segnalazione alla direzione. Poi, però, la banca se ne esce con un’altra versione: quella cioè che possa essere stata la madre, nel 2003, a vuotare la cassetta e a richiedere la riparazione».
Ma la Franceschetti non ci sta. «L’onestà è un valore che ti appartiene o non ce l’hai. Non esistono le mezze misure. Io e la mia famiglia siamo onesti da sempre – dichiara – non ci stiamo a passare per truffatrici. Sono indignata per queste insinuazioni e illazioni. E’ l’aspetto che più ci fa male. E non sono disposta a tollerarlo».
LA BANCA. La ricostruzione che lo stesso istituto bancario fa di quanto accaduto è, dunque, diversa. «Non è materialmente possibile aprire quelle cassette senza che le due chiavi, quella del cliente e quella della banca, vengano azionate simultaneamente. Lo dicono due verbali: quello dei carabinieri e quello della finanza – spiega l’avvocatessa del Foro di Firenze, Beatrice Donati, che rappresenta l’istituto bancario – Dobbiamo perciò dedurre che sia stata aperta dalla Franceschetti o dalla madre. Anche perché non ci sono segni di effrazione».
E riguardo al bauletto dichiara: «Dalle nostre ispezioni interne, emerge che è stata la madre della signora a vuotarlo nel suo ultimo accesso, nel 2003, e a lasciarlo fuori per sistemare la serratura. Registrazioni scritte? Non sono previste: quelle ci sono sono per gli accessi».
Giovedì inizia il processo.
