'Ndrangheta Arrestati il boss e i suoi prestanome
Anche dai domiciliari Michele Pugliese governava i suoi affari in Emilia. Tredici le ordinanze, indagini dall’esposto della Camera di Commercio
BOLOGNA.
Tredici ordinanze di custodia cautelare, trenta perquisizioni, un sequestro di beni che sfiora i 13 milioni di euro. E una doppia indagine che, ancora una volta, abbraccia due territori: l’Emilia e la Calabria.
E’ questo il risultato di due operazioni dei carabinieri contro l’ndrangheta: l’operazione Zarina, condotta dai militari del comando provinciale di Reggio, e l’operazione Aurora, dei colleghi di Bologna, scattate ieri all’alba con il dispiegamento di 250 militari tra i territori della Bassa reggiana, Mantova, Bologna e nel Crotonese, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna e del sostituto procuratore Marco Mescolini.
L’accusa è di avere intestato a prestanome beni, immobili e società intere, con il reinvestimento di capitali di provenienza illecita. Dietro ci sarebbe una sola figura cardine: quella del boss Michele Pugliese alias “Michele la Papera”, 37 anni, legato ai clan Arena e Nicoscia di Isola Capo Rizzuto (Crotone). Nel 2010 venne arrestato a Santa Vittoria nell’ambito dell’operazione Pandora, della Dda di Catanzaro. Ma anche dai domiciliari, dove stava scontando la condanna, continuava a governare i proprio affari. Specie in Emilia.
L’INDAGINE REGGIANA. Tutto parte da Reggio. E da un esposto-denuncia: quello dell’allora presidente della Camera di commercio, Enrico Bini al Nucleo Investigativo. Siamo nel giugno del 2010 e si parla di fatti che riguardano l’impresa Autotrasporti Emiliana Inerti Srl, con sede legale a Isola Capo Rizzuto e con un’unità operativa a Gualtieri. Era gestita, prima dell’arresto, da Pugliese. Ci si interroga su chi ne continui a tirare le fila.
Il legale rappresentate è Federico Periti, 36 anni. Quello che scoprono gli investigatori è che, in realtà, dietro di lui ci sarebbe ancora Pugliese “un affiliato di assoluto primo piano della consorteria – scriveva di lui la Dda di Catanzaro – titolare, spesso di fatto e non anche intestatario, di molteplici attività imprenditoriali con il ruolo di reinvestire nelle sue aziende i proventi illeciti della cosca”. Colpito da sequestro preventivo di beni, dall’indagine “Pandora”, secondo chi indaga sarebbe riuscito intestare società e altri beni a prestanome. Come Periti, ieri finito in manette. E come Caterina Tipaldi, 31 anni. E’ lei la “zarina” secondo gli investigatori reggiani, colei che «manteneva per conto di Pugliese in particolare durante la sua permanenza in carcere i contatti con gli altri prestanome presenti sul territorio emilia». Al tempo, ne era la compagna.
TANTI PRESTANOME. A lei fu intestata la G.M.P. Trasporti, fondata nel marzo del 2010 con sede legale prima a Santa Vittoria di Gualtieri, poi due mesi dopo trasferita a Sant’Agata Bolognese.
Secondo gli investigatori, quella società fu aperta per “ereditare” dalla Pugliese Trasporti e dalla Autotrasporti Emiliana – entrambe sequestrate nell’ambito dell’inchiesta Pandora – non solo i veicoli, ma anche buona parte dei dipendenti. Dietro, insomma, ci sarebbe ancora stato Pugliese. Tanto più che quando la relazione tra la giovane donna e il 37enne finisce, la società viene ceduta a Giuseppe Ranieri, cognato di Pugliese, per 10mila euro: il 100% del capitale sociale. Siamo nel novembre del 2011. A quel punto, è lui l’uomo di Pugliese, in Emilia. Inviato per «verificare di persona la situazione nelle varie società intestate e gestite dai prestanome». Ma anche per «riappropriarsi» della G.M.P. Trasporti srl e di altri beni intestati alla Tipaldi.
Ma la lista dei presunti prestanome è lunga: c’è anche Anna La Face 44 anni (ora ai domiciliari), moglie di Vito Muto 49 anni (in carcere da ieri). Lei è l’amministratore unico della Vi.To. Trasporti srl: un’altra società che per gli investigatori è riconducibile a Michele Pugliese. E c’è la Global D&G, società fondata nel 2009 come Pugliese Immobiliare Unipersonale Srl, il cui unico socio e proprietario è Doriana Pugliese, sorella di Michele. Nel maggio del 2011 cambia nome ed è Giuseppe Ranieri a diventarne l’amministratore unico. «L’evuluzione» della G.M.P. e della Global D&G è la costituzione nel gennaio 2012 dell’Aurora Autotrasporti da parte di Carmela Faustini e Vittoria Pugliese, madre e sorella di Michele Pugliese. Le intercettazioni telefoniche raccontano le disposizioni del boss: che sia un autista, considerato persona “pulita” ad assumere la qualifica di amministratore unico di G.M.P. e Global. E «che gli venga corrisposto un compenso mensile di 500 euro più un “regalo” finale», si legge nell’ordinanza.
Da questa società prende il nome l’indagine bolognese. Dopo due roghi dolosi in una cava novembre 2011, i carabinieri indagano sulle società che vi ruotano attorno. E i nomi delle società di trasporto e di movimento terre che intercettano, finiscono con l’essere le stesse dell’indagine reggiana: i Tipaldi.
I 13 ARRESTI. Ieri, in esecuzione all’ordinanza di custodia firmata dal gip bolognese Letizio Magliaro, a finire in carcere oltre a Michele Pugliese (arrestato in una clinica di Roma dove stava godendo di un permesso per motivi di salute), sono stati arrestati il fratellastro Mirko Pugliese e, nella Bassa, il cognato Giuseppe Ranieri, Vito Muto, Diego Tarantino, Federico Periti e la sorella Mery Pugliese. Ai domiciliari Caterina Tipaldi, la madre di Pugliese Carmela Faustini, le sorelle Vittoria e Doriana, Anna La Face, Salvatore Mungo.
IL PLAUSO. «Un risultato molto importante perchè è la conferma dell’esistenza in Emilia Romagna di cosche calabresi molto pericolose» è il commento del procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso. Per il comandante dei carabinieri di Reggio, il colonnello Paolo Zito, è la conferma che «le ’ndrine nel territorio emiliano, così come evidenziato nell'ultima relazione della Direzione nazionale antimafia, lavorano in un contesto di delocalizzazione: pur essendoci dei riferimenti diretti alla “casa madre” c'è una forma di autonomia gestionale sul territorio». Quest’ultimo ha sottolineato l’importanza della denuncia di Bini.
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