Gazzetta di Reggio

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Tentato omicidio, ancora accuse a Bonaccio

Tentato omicidio, ancora accuse a Bonaccio

Lombardo lo ritiene il mandante del tentato omicidio. Accertamenti del pm sul cognato della vittima

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Da alcuni giorni la Corte – presieduta da Francesco Caruso – è entrata in possesso del testo unico che raccoglie le intercettazioni (telefoniche ed ambientali) relative al tentato omicidio del costruttore Vito Lombardo che subì l’agguato la sera del 23 novembre 2010 a Coviolo. Un dossier (redatto dal perito Giampiero Benedetti) che raggruppa quanto captato sia dalle forze dell’ordine, sia dalla stessa famiglia Lombardo quando il familiare era ricoverato al Santa Maria e poi quando era tornato a casa per la convalescenza. E di queste intercettazioni se n’è parlato a lungo ieri nel processo che vede come unico imputato l’imprenditore edile 69enne Gino Renato. Un processo – che sta mettendo contro due famiglie d’origine cutrese – sin dalla prima udienza snodatosi all’insegna della non indifferente presenza di pubblico calabrese associato ad una tensione che si taglia con il coltello. Ieri la Corte ha voluto risentire la vittima proprio sul corposo testo delle intercettazioni, con domande mirate su una serie di “passaggi” apparsi poco chiari. Lombardo ha risposto a tutte le domande, alzando anche la voce quando certi aspetti stentavano ad esser chiariti. E non sono mancati i colpi di scena. Più volte Lombardo è tornato su questo concetto: «Appena mi sono svegliato dall’operazione chirurgica, ai carabinieri ho detto subito il nome di chi mi ha sparato: Gino Renato. L’ho visto in faccia. I carabinieri erano già sulle sue tracce? Non saprei». Secondo gli avvocati difensori Noris Bucchi e Luigi Colacino il costruttore sul nome di chi l’ha aggredito sarebbe stato invece “imbeccato” dai carabinieri e fra le righe l’avrebbe ammesso nella testimonianza di ieri. Poi Lombardo ha molto insistito su quello che pensa sia il mandante, cioè Giulio Bonaccio (che non è indagato, ndr), facendo ripiombare l’aula nei cupi anni 1998-99 che insanguinarono Reggio. «Bonaccio aveva lavorato per me – ha raccontato il 66enne – ma quando si seppe delle vicende con Paolo Bellini e Vincenzo Vasapollo, non ho più voluto avere rapporti con lui. Nel 1999 mi chiese un’arma, ma non gliela diedi. Da quel momento non ho avuto pace: mi hanno bruciato una baracca dietro la vasca di Corbelli, un camioncino a Gualtieri». Danneggiamenti denunciati da Lombardo che ritiene Renato («Mai avuto rapporti con lui») poi mandato nel 2010 da Bonaccio («E’ uno che non dimentica»)ad ucciderlo. Sempre la vittima ipotizza 5 persone che c’entrano con l’agguato, parla della paura dei suoi familiari (4 donne) e del fatto che dopo quanto accaduto ha ora tre pistole regolarmente denunciate.

Alla luce del contenuto delle intercettazioni, il pm antimafia Enrico Cieri ha voluto gli atti che riguardano Serafino Bonaccio, cognato di Lombardo, per fare ulteriori accertamenti: «E’ portatore di verità non comprese nel processo». Parole che hanno suscitato la reazione stizzita della sorella, cioè la moglie di Lombardo, che ha gridato: «In quei giorni mio fratello era in Germania!». La Corte non lo sentirà, ma il pm vuole saperne di più su quello che sa quest’uomo. Si torna in aula il 7 maggio per la discussione.(t.s.)