Gazzetta di Reggio

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Enrico Masi all’Atelier Bligny col pluripremiato “The Golden Temple”

Daniele Valisena
Enrico Masi all’Atelier Bligny col pluripremiato “The Golden Temple”

Sabato sera alle 21 all'Atelier Bligny, nell'ambito della rassegna "Lezioni di vero", il regista bolognese Enrico Masi presenterà in anteprima a Reggio il suo documentario sul lato oscuro delle Olimpiadi di Londra.

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Un viaggio sotto la “pellicola dorata” delle Olimpiadi, nel cuore sociale e urbanistico ferito dei quartieri della nuova cittadella olimpica nell’Est di Londra. Religione, sensibilità antropologica, denuncia sociale e “sguardo rasoterra” si mischiano in “The Golden Temple”, il primo lungometraggio del regista e studioso bolognese Enrico Masi, che sabato alle 21 sarà all’Atelier Bligny per presentare il suo pluripremiato documentario nell’ambito della rassegna “Lezioni di vero” di Nico Guidetti.
Com’è nato il progetto di “The Golden Temple”?
“Stavo per trasferirmi a Londra per lavorare a un progetto di ricerca universitario sulle comunità religiose e assieme a un’antropologa, Alessandra Maisani, ho scoperto la realtà di Westfield e Newham, i quartieri dell’est di Londra che sono stati stravolti dalla costruzione degli impianti olimpici”.
Perché “Il tempio d’oro”?
“Là si riuniscono tre templi: quello capitalistico, costituito dal centro commerciale più grande d’Europa che è la porta obbligatoria per la quale si accede agli altri templi; quello religioso, rappresentato dalle comunità evangeliche che lo presidiano e quello sportivo, che si incarna nello stadio olimpico”.
Nel film la sceneggiatura e la caratterizzazione dei personaggi sono molto dettagliate e dinamiche, il che potrebbe sorprendere trattandosi di un film documentario: come mai?
“Il film nasce da un lungo percorso. Prima ho realizzato cinque-sei cortometraggi, tutti assieme al collettivo Caucaso Produzioni di Bologna, che ha festeggiato quest’anno al Kinodromo (ex cineteca) i suoi dieci anni di attività. In questi anni abbiamo realizzato diversi lavori, ma tutti secondo uno stile che è “di gruppo”. È un modo di operare molto legato all’antropologia visuale (Masi compie le sue ricerche in quell’ambito, ndr), che abbiamo elaborato anche nella nostra “palestra” della trasmissione a Radio Fujiko. Io e Mike, uno dei protagonisti e “guide” del documentario, ormai siamo amici, infatti sarà protagonista del mio prossimo film “La battaglia di Lepanto”, che racconta dei processi occorsi alle città brasiliane in cui si giocheranno le partite del mondiale di calcio e che sono analoghi a quelli di Londra”.
Come gestisce il rapporto tra regista e attori nei suoi film?
“Per realizzare il film, così come per gli altri, utilizzo la tecnica della perimetrazione. È la stessa di Rosi in “Sacro Gra” _ solo che il nostro film è uscito un anno prima. Mike è entrato nel soggetto del film e così il rapporto diventa più pericoloso, più fragile. Nel film compare anche lo scrittore Ian Sinclair, che con il suo “Ghost Milk” (pubblicato in Italia come “London Orbital”) è una delle voci più autorevoli e critiche del quartiere. È una poetica legata al fatto che ritengo il cinema uno strumento politico”.  
Un altro progetto a cui lavorate è legato alle Reggiane. A che punto è?
“Alberto Gemmi, reggianissimo, ha iniziato a lavorarvi in maniera analoga a come abbiamo fatto per “The Golden Temple”. Le Reggiane e il suo quartiere sono al centro di una grande trasformazione: io gli do una mano, la regia è sua, ma sono molto contento di poter lavorare a un film che tocchi questioni non solo locali e che sollevi tematiche che possano rimanere vive per anni. C’è un grande “ritorno” del cinema, dopo anni di crisi”.
Questo ritorno è dovuto a un mutamento culturale o è legato alle nuove disponibilità tecnologiche?
“C’è di nuovo voglia di eventi pubblici, dai festival alle sale, una voglia di “tornare fuori nel mondo”, per contrastare questa inflazione di internet e della rete che isola le persone. La postmodernità e la globalizzazione ora portano i conflitti dentro le case di tutti: viviamo in un tecnoevo, un medioevo tecnologico, che si sta inserendo in un paesaggio storico e culturale “biologico” che è esistito da sempre. Non è più come in “Fitzcarraldo”, in cui si andava a portare un teatro nella foresta, ora è l’hi tech che è arrivata qui da noi”.