‘Ndrangheta, gli indagati alzano un “muro” dal gip
Solo uno su quattro risponde alle domande del giudice. Tanti i familiari in tribunale, tensione e lacrime fuori dall’aula
I quattro interrogatori di garanzia tenutisi ieri mattina in tribunale hanno mostrato come gli indagati – su consiglio dei rispettivi avvocati difensori– intendano alzare un vero e proprio “muro di silenzio” davanti alla maxi inchiesta con cui l’Antimafia e l’Arma hanno inteso colpire la criminalità organizzata marchiata ’ndrangheta: l’accusa è di avere intestato a prestanome beni, immobili e società intere, con il reinvestimento di capitali di provenienza illecita.
Gli interrogatori si sono svolti in un clima – attorno all’aula d’udienza – composto ma con una tensione palpabile, in un intreccio di non pochi familiari che si sono alternati per carpire qualche informazione su quanto stava avvenendo davanti al gip Antonella Pini Bentivoglio. I primi parenti arrivano alle 9 e fino alle 11 (cioè quando si conclude il “giro” di interrogatori) è tutto un via vai di persone attaccate alla porta dell’aula ma anche ai telefonini per presumibilmente avvertire a casa (sono tutti originari di Isola Capo Rizzuto, nel Crotonese) sulla piega che sta prendendo il “passaggio” giudiziario. Il primo ad essere sentito è il 26enne Salvatore Mungo: vive a Santa Vittoria di Gualtieri ed è finito agli arresti domiciliari perché si sarebbe reso disponibile a fare da prestanome per il boss Michele Pugliese divenendo amministratore nonché socio unico della “Inerti Mu.Sa srl” per poi acquistare dalla “Pugliese Trasporti srl” una Smart che sarebbe sempre rimasta nella disponibilità di Mirko Pugliese (fratello della figura cardine di quest’inchiesta). Il 26enne, difeso dall’avvocatessa parmigiana Carolina Belfiore, ha replicato alle accuse, dicendosi totalmente estraneo alla vicenda, depositando anche tramite il legale della documentazione relativa alla macchina “incriminata”. Solo più avanti l’avvocatessa Belfiore intende “attaccare” la misura restrittiva. Il secondo interrogatorio riguarda il 31enne Giuseppe Ranieri: il cognato di Pugliese (domiciliato a Guastalla) è in carcere, viene accusato d’essere subentrato a Caterina Tipaldi (quando lei rompe il fidanzamento con il boss) nella “G.M.P. Trasporti srl”. La società gli viene ceduta per 10mila euro e secondo gli inquirenti diventa lui l’uomo di Pugliese in Emilia sia per “verificare di persona la situazione nelle varie società intestate e gestite dai prestanomi” sia per riappropriarsi di altri beni intestati alla Tipaldi. Il 31enne, detto “Zomba” – assistito dal legale Giuseppe Migale Ranieri, che ha sostituito il collega Mario Prato di Crotone – s’avvale della facoltà di non rispondere. Un’udienza-lampo, fra i familiari che lasciano il tribunale c’è anche il padre, molto scosso, che piange. Chiudono la “tornata” i coniugi Vito Muto (49 anni, finito dentro) e Anna La Face (44 anni, ai domiciliari): vivono a Guastalla e per chi indaga sono pure loro al servizio di Pugliese rendendosi intestatari di società d’autotrasporti in realtà controllate dal boss. Non parlano in aula e l’avvocato difensore Antonio Sarzi Amadè è lapidario all’uscita dall’aula: «Devo studiare gli atti, poi si deciderà come muoversi sul piano giudiziario». Bocche cucite, già il giorno prima, anche da parte del 36enne Federico Periti (vive a Montecchio ma è stato bloccato in Lombardia ed è stato sentito in carcere a Pavia, assistito dal legale Migale Ranieri) e del 40enne Diego Tarantino (domiciliato a Santa Vittoria, i militari l’hanno bloccato a Busto Arsizio e lì, in cella, difeso dall’avvocato Alessandro Conti, ha affrontato l’interrogatorio).