Gazzetta di Reggio

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Peppone, don Camillo e quattro amici al bar

Peppone, don Camillo e quattro amici al bar

Brescello: il museo fu inaugurato 25 anni fa per iniziativa del Club della Talpa che si riuniva di notte

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BRESCELLO. Sono passati 25 anni dal 16 aprile 1989. Il muro di Berlino era ancora in piedi, tanto per intenderci. Un dettaglio non da poco per il paese che da sempre, nell'immaginario collettivo, è teatro del dualismo tra "bianchi" e "rossi", impersonificati alla perfezione dai don Camillo e Peppone di Giovanni Guareschi. Quel giorno, a Brescello, venne tagliato il nastro al museo che porta il nome dei 2 celebri personaggi, per quella che doveva essere un'avventura di poche settimane e che invece si è sempre più consolidata nel tempo. E in tutti questi anni sono andate un po' perse le origini di questo museo, nato in modo pittoresco. L’idea di raggruppare tutti i cimeli usati per le riprese dei film di Duvivier con Fernandel e Gino Cervi e tante altre chicche venne a un gruppo di brescellesi che amarono definirsi Club della Talpa. «La ragione di questo appellativo – raccontano i componenti – è molto semplice: lavoravamo sottoterra». A monte di questo quartetto c'era Erminio Bertoli, eccentrico calzolaio del paese, assieme a Maurizio Allegri (ex titolare del bar Peppone, dove avvenivano questi incontri segreti), il macellaio Mauro Savio e il compianto Fernando Paris, colui che materialmente procurò il carro armato che tutt’ora staziona davanti al museo. «Ci incontravamo dopo mezzanotte – spiegano – con la saracinesca abbassata. L'idea non venne accolta con molto favore dal sindaco dell'epoca, Ermes Coffrini, secondo cui il museo sarebbe durato tre mesi, al pari di una qualsiasi mostra». I superstiti del gruppo (Paris è morto nell'agosto 2013) ricordano che l'allora primo cittadino, a forza di insistere, voleva mettere a disposizione un sottotetto, poi concesse alcuni locali nel dismesso convento di San Benedetto. Oggi il museo – passato in gestione alla Pro loco - è visitato ogni anno da decine di migliaia di turisti provenenti da ogni parte d’Italia e del mondo (soprattutto dalla Germania, dalla Francia e dalla Svizzera) e costituisce una delle attrazioni principali del paese. Erano altri tempi. Tempi nei quali la goliardia era all'ordine del giorno. Qualche tempo dopo sorse infatti il "Club della Civetta", costituito dal compianto campanaro Vittorio Gianelli, da Claudio Marenghi, dall'artista Marco Cagnolati (che poi ripitturò la famosa campana del popolo di Peppone e la Madonna del Borghetto, che appare in uno dei film) e dallo stesso Savio. Si sparse la voce che sul campanile si fosse annidata una grossa civetta, che per mesi fece parlare di sè, anche in ambito nazionale. C'era o non c'era? Non si può rispondere, perché nel "mondo piccolo" realtà e finzione si mescolano fino a confondersi.

Andrea Vaccari