Gazzetta di Reggio

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«Grassi e Bedeschi? La loro è una lista che fa il gioco del Pd»

«Grassi e Bedeschi? La loro è una lista che fa il gioco del Pd»

Viano: l’attacco del candidato Dallari, uno dei tre in lizza «Enrico, grande imprenditore diviso tra destra e sinistra»

19 aprile 2014
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VIANO. «Non capisco davvero cosa fa Enrico Grassi». Parla di politica, e non d’impresa, Marco Dallari, oggi consigliere comunale di minoranza eletto con l’Idv, che a maggio si presenterà alle elezioni comunali, in quella che quasi certamente sarà una corsa a tre fra lo stesso Dallari, il sindaco uscente Giorgio Bedeschi e Peppino Razzoli per il Pd.

Dallari si rivolge al cittadino vianese più celebre, Grassi, fondatore e presidente di Elettric 80 e Bema, due delle principali aziende provinciali con centinaia di dipendenti e diverse sedi all’estero. «Grassi per me è un grande imprenditore e, da sindaco, sarò onorato di ricevere i suoi giudizi e consigli, ma davvero adesso non lo capisco», sostiene. Il motivo? Il fatto che Grassi abbia ospitato a inizio aprile un convegno del Pd sull’economia nella propria sede, con esponenti nazionali del partito e che sia «la punta di diamante della lista di centrodestra del sindaco uscente, Giorgio Bedeschi».

Dallari si chiede cosa significhi questo comportamento, e avanza un’ipotesi di “collaborazione” fra Pd e lista Bedeschi, ex leghista, questa volta in corsa a capo di una formazione civica. Il paragone di Dallari parte da una “storia” reggiana: «Ci hanno raccontato che a Campegine, negli anni d’oro del Pci, il partito, che là aveva quasi il 90% dei consensi, presentava e faceva eleggere sia la maggioranza, che governava, sia i consiglieri di minoranza». In pratica, «creavano una lista “civetta”, ma io la definisco “farlocca”, che facevano votare a quelli non d’accordo con il Pci». E, suggerisce Dallari, «non vorrei che la stessa cosa succedesse a Viano. Non vorrei che la lista di Bedeschi, che per me è perdente, fosse collaterale al Pd, utile a intercettare voti non di sinistra ma, nei fatti, portarli alla sua corte. Magari in cambio di qualche assessorato o altra poltrona interessante».

Adriano Arati