Realacci (Pd) contro Alai il caso approda alla Camera
Si torna a parlare del presunto conflitto di interessi all’interno del Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano. E lo si torna a fare in Parlamento, con il presidente della Commissione Ambiente...
Si torna a parlare del presunto conflitto di interessi all’interno del Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano. E lo si torna a fare in Parlamento, con il presidente della Commissione Ambiente della Camera, l’esponente del Pd Ermete Realacci che si è dichiarato insoddisfatto della risposta che, su questo tema, il ministero dell’agricoltura ha dato alla sua interrogazione.
«Appare francamente deludente - dice Realacci - la risposta che gli uffici hanno preparato al ministro dell'agricoltura sulla mia interrogazione che ho presentata lo scorso 19 febbraio per tutelare il Parmigiano Reggiano Dop, prodotto di punta dell'eccellenza agroalimentare made in italy, dal rischio imitazioni, dagli appetiti di quanti si arricchiscono scorrettamente con l'italian sounding e anche dalle potenziali minacce che potrebbero arrivare da un conflitto di interessi perfino in seno allo stesso consorzio del parmigiano reggiano».
Lo afferma Realacci, riprendendo gli articoli pubblicati dal quotidiano La Stampa che avevano provocato la dura replica del presidente del Consorzio Giuseppe Alai, chiamato in causa per un presunto conflitto di interessi: è la storia della società Itaca in cui Alai aveva partecipazioni, che eras a sua volta in società con una società di importazione di formaggi ungheresi.
Nella sua interrogazione Realacci cita anche il caso del megamagazzino di stagionatura inizialmente ipotizzato dall’allora titolare della Nuova Castelli, Dante Bigi.
Informazioni datate, quelle del presidente della commissione ambiente di Montecitorio, che tuttavia nel suo intervento sottolineava come «pur non entrando nelle scelte privatistiche del consorzio di tutela sui propri rappresentanti, mi pare che il ministero possa e debba attivare strumenti adeguati per evitare che simili fatti, o casi analoghi a quello della Lactitalia, che sembrava producesse con latte romeno e ungherese “pecorino rumeno” che veniva poi “spacciato” come italiano sui mercati europeo e statunitense, si ripetano in futuro».