Gazzetta di Reggio

Reggio

Il Gruppo Maramotti ha chiuso 16 negozi del marchio Max&co

Sedici negozi chiusi nel giro di due anni e il licenziamento di una sessantina di addette alla vendita «molte delle quali licenziate in deroga alle norme sul preavviso». L’allarme riguarda i punti-ven...

20 aprile 2014
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Sedici negozi chiusi nel giro di due anni e il licenziamento di una sessantina di addette alla vendita «molte delle quali licenziate in deroga alle norme sul preavviso».

L’allarme riguarda i punti-vendita Max&co che fanno capo al Gruppo della famiglia Maramotti e a sollevare questa delicata situazione occupazionale è la deputata modenese Manuela Ghizzoni (Pd) che, con una interrogazione firmata anche dal collega Davide Baruffi (componente della Commissione Lavoro), ha posto il tema all’attenzione del ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Nel 2011 i negozi Max&co erano 55 in Italia (nel mondo sono 450 le boutique monomarca), ma dal 2012 sono iniziate le chiusure arrivate ora a quota 16, a cui potrebbero aggiungersene a breve altre tre. Nella nostra provincia Max&co è presente a Reggio e a Guastalla, ma i sindacati – per questi punti-vendita – non hanno comunicazioni ufficiali che facciano pensare ad un’imminente chiusura come, invece, è avvenuto per i negozi limitrofi di Mantova e Carpi (l’ultimo, in ordine di tempo, che ha cessato l’attività). «Questi licenziamenti – spiega la parlamentare – sono avvenuti per lo più nel silenzio e nella disattenzione generali, nonostante la crudezza delle cifre. Da un Gruppo così affermato nel mondo ci si sarebbe aspettati almeno un tentativo più efficace di difesa del marchio e, di conseguenza, del personale occupato. E’ vero che nella fascia dell’abbigliamento giovane la concorrenza è molto agguerrita, ma qui siamo di fronte a un nome conosciuto nel mondo. La strada da percorrere – conclude – era forse quella dell’innovazione del prodotto e dell’offerta per intercettare una domanda che è al contempo massiccia nei numeri, ma debole sul fronte della capacità di spesa. Le chiusure e i licenziamenti non possono che rappresentare l’ultimissima opzione».