Gazzetta di Reggio

Reggio

L’arte salvata dalle grinfie dei nazisti

di MARIO VIGHI *
L’arte salvata dalle grinfie dei nazisti

L’azione di un gruppo di partigiani impedì ai tedeschi di trafugare a Berlino il sipario del Municipale dipinto dal Chierici

23 aprile 2014
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La cabina del camion parcheggiato dietro al teatro pareva uno scolapasta che richiamava il vento invece di fermarlo. L’uomo dentro al camion veniva chiamato l’Olandese e fumava come per scaldarsi. “A san Clemente l'inverno mette i denti”, – si diceva come una litania –. «Un gran brutto novembre questo, e questa una azione da stupidi».

L’Olandese aveva discusso forte in riunione con Fiorello e Gigi contro il fatto di dover portar via un Sipario dal Teatro in città.

«Che se lo portino a Berlino il loro sipario e se lo guardino con le loro puttane. Faccio mica il partigiano per salvare dei sipari io, qui c’è da fare dell’altro e si rischia la vita per far la guerra mica per salvare delle robe del varietà», c’aveva detto nel muso a Fiorello.

Fiore non aveva risposto subito, aveva acceso una nazionale e si era grattato in testa. «Te Olandese c’hai poi ragione, abbiamo le armi e vinceremo questa guerra di merda. Ammazzeremo tutti quelli della Brigata nera e cacceremo via i nazisti. Tutto vero. Poi magari faremo il socialismo e ammazzeremo anche tutti i ricchi. Vero anche questo. E poi? Poi ricominceremo con la vita normale, le fabbriche, il latte per tutti, il pane per tutti. Dico uno sproposito, anche i tram per tutti. E po’?».

All’Olandese ci veniva il sangue alla testa, ci veniva. Quando Fiorello cominciava a parlare e si grattava la testa, non c’era verso di capire dove andava a parare.

«Poi andremo anche a ballare, al cine, e poi anche con le donne. Faremo dei figli e li manderemo a scuola. Te cosa dici Olandese, la vuoi una scuola per tutti? Magari tuo figlio potrà studiare invece che andare a lavorare come abbiamo fatto noi. E magari sarà anche più fortunato e furbo di noi. Cosa dici Olandese? Lo vorrai un figlio intelligente?».

Adesso che era lì nella cabina del camion l’Olandese si dava dello stupido perché c’era cascato. Aveva detto «certo che sì. Cosa dici Fiorello, vuoi farmi passare per imbambito?».

E allora Fiorello fu implacabile. «Noi siamo gli ultimi del mondo. Ma questo mondo non ci avrà, Olandese. Allora se ci tieni a tuo figlio, bisogna salvare il sipario del teatro che è di un famoso pittore, perché se non lo facciamo e lo lasciamo ai crucchi e alle loro puttane, come dici tu, prima o poi tuo figlio o un altro figlio di qualsiasi del nostro tempo ci chiederà: perché non l’avete salvato? Perché non avete curato anche il cuore e la testa e ci avete solo lasciato le braccia per lavorare?».

Poi Fiorello, che non era neanche tanto uno da filosofie, aveva guardato negli occhi i suoi due compagni d’azione e, senza grattarsi la testa aveva sibilato: «Poi c’è da dire questo: qui ci comando io. E io canto nel coro del teatro e so com’è bello. E vi dico una cosa per tutte, ci sarà un giorno che poi quel teatro lì sarà per tutti, anche per noi villani, non solo per i signori. Quindi si fa l’azione. E’ così».

«Vacca boia» pensava l’Olandese su quella cabina di camion mentre fumava come per scaldarsi.

IL PIANO

Lo aveva esposto, il piano, Fiorello poco dopo la discussione.

«Abbiamo alla Timo un informatore, un compagno nostro che è un impiegato lì della Timo é anche un tecnico, diciamo. Quando i tedeschi sono arrivati a Reggio Emilia hanno requisito una parte della Timo e lo hanno adibito a ufficio loro. I nostri amministrano, diciamo, il lavoro italiano e loro decifrano i cifrati che vengono dalla Germania. Con l’andare del tempo sia i nostri informatori e un altro impiegato, stando a lavorare assieme tutto il giorno, vanno a prendere il caffè e si sa, si crea una certa… una certa amicizia, capito no il senso? E lì che hanno captato che c’è un cifrato di quelli che i tedeschi stavano dritti come delle spade; che poi dicevano e non dicevano. Insomma, é arrivato un cifrato segreto che… i tedeschi hanno ricevuto l'ordine dal comando centrale di Berlino di recuperare il sipario di Reggio Emilia del grande pittore Chierici e di portarlo a Bologna che poi lo trasferiscono a Berlino. Ordine preciso, al più presto».

C'é da portarlo fuori. Tramite informazioni, il sipario é più di 14 metri, con una macchina non si porta via, con un camioncino nemmeno c’é da studiare di trovare un automezzo da poterlo asportare.

Era intervenuto Gigi: «E poi lì a Rubiera abbiamo uno, con un camion lungo. Però dobbiamo arrotolarlo che non si rovini e dove lo portiamo a nasconderlo bisogna metterlo in un involucro, qualcosa…».

Allora l’Olandese disse: «Se noi prendessimo un tubo e lo ce lo infiliamo dentro, quei tubi grossi che usano a fare gli acquedotti per la bonifica… C’ho uno che la sa lunga da quel lato lì».

Ecco come erano finiti lì quella notte da paura un gruppo di sei gappisti in compagnia di 20 metri di tubo di rame con un diametro di 40 centimetri. E un camion.

L’AZIONE

«… ma c’é un altro problema – disse Gigi – che portare un rimorchio, un camion così grosso dietro il teatro e passare per i giardini c’é da rischiare la multa dei vigili. Allora bisogna farsi fare un permesso. Ci penso io», disse il Gigi.

I vigili poi… avevano voluto saper il perché, «il perché – gli ha detto il Gigi – è che si deve portar fuori delle cianfrusaglie del teatro che le devono bruciare, della roba di cartaceo e il camion ci vuole per caricare tutto. Roba di pulizia». Il bello é ci hanno fatto il permesso.

Dentro in teatro c’era il problema di calare, perché metà era arrotolato e metà era ancora su il sipario. Infatti siamo entrati in cinque dentro più due che erano bendati, uno mi sembrava, che era uno del teatro, perché a muovere quelle carrucole lì, carrucole di legno bisognava saperci fare. Il lavoro è lento. Si cala e poi pian piano lo strisciamo. Carichiamo il sipario che però nonostante che é lungo il rimorchio un pezzetto rimane fuori. Dopo c’é da pensare dove portarlo. «Alla Biasola – dice Gigi –. Siccome lì alla Biasola ci abito io e Fiorello, più un gruppo di Gap. Se lo portiamo vicino casa nostra così gli diamo anche un'occhiata».

Fa freddo e il camion si avvia, lento. Direzione Villa Levi.

EPILOGO

Antonio Incerti ha da tempo le macchie nelle mani e una calvizie quasi totale. La cosa più importante che fa nella giornata è quella di andare a prendere sua nipote a scuola, adesso che è alle elementari. Fra un po’ vorrà andare da sola e lui starà a sentire le notizie di tutti i radiogiornali e telegiornali. Sara quel giorno gli dice che con la scuola è andata in visita al teatro Municipale che è stato intitolato a un grande attore di Reggio Emilia, famoso nel mondo. Hanno anche visitato il palcoscenico tutto di legno, con delle strane macchine che fanno i rumori. Sara dice che è come essere sulle navi dei pirati che si vedono nei film. Anche le carrucole son di legno. Mentre le poltrone sono rosse e di velluto.

«E’ meglio che studi, invece di andare per dei teatri, va», dice Antonio.

Sara poi dice che c’è un sipario meraviglioso, dipinto da un bravo pittore di cui non ricorda il nome. Ma adesso ha fame e vuole una pizza.

«Chierici», dice Antonio.

«Cosa?», chiede Sara

«Niente, un mio amico», taglia corto Antonio.

Una volta c’era Anna sua moglie ci si poteva dare la buona notte. Adesso Antonio si corica tardi e dorme molto poco.

«Si chiamava Alfonso Chierici. E quel sipario li l’ho salvato io assieme ai miei compagni». Così dicendo, l’Olandese spegne la luce e si addormenta.

* Fondazione I Teatri

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L'autore ringrazia Istoreco e i Viaggi della Memoria dal cui laboratorio è uscita questa storia; ma soprattutto si inchina di fronte a Fiorello e Gigi al secolo Lorenzo Gennari e Pierino Beggi – unici personaggi veri del racconto e autori dell'impresa – come padri del nostro disgraziato Paese dove la cultura è tenuta in conto così come sapete anche voi. Un ennesimo esempio di Resistenza tradita. (m.v.)