Gazzetta di Reggio

Reggio

la sentenza

A processo per l’eredità, fratello condannato

La sorella lo accusava di essersi intascato i 530mila euro ricavati dalla vendita di un terreno

29 aprile 2014
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Fratelli uno contro l’altro nel processo che si è celebrato ieri nel palazzo di giustizia di Reggio. E, manco a dirlo, per colpa di un’eredità.

Il reato era di appropriazione indebita. E, nel giudizio di primo grado, è andata male all’imputato, che è stato condannato a 10 mesi (pena sospesa per la condizionale) e al pagamento di una provvisionale pari a 50 mila euro.

La vicenda risale a un po’ di anni fa. A quando la madre dei due è morta e ha lasciato in eredità al marito, alla figlia e al figlio alcuni beni, tra cui un terreno a San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna.

La gestione dei beni, però, è stata affidata al figlio, poichè la sorella nel frattempo si era sposata e si era trasferita in un’altra regione. «Si fidava del fratello» ha fatto notare l’avvocato di parte civile. E per questo, assieme al padre, firmò una procura che dava all’uomo la possibilità di gestire il patrimonio ereditato.

Compreso, dunque, anche il terreno oggetto del processo. Tutto bene, fino a quando l’appezzamento – un tempo solo agricolo, poi accresciuto di valore per essere diventato edificabile – è stato venduto. Portando a incassare complessivamente qualcosa come 530mila euro. Ed è qui che è sorto il problema che ha portato la donna a denunciare il fratello. Facendo partire l’indagine che ha portato il fratello a processo, con l’accusa di essersi impossessato di quel denaro. E di non averlo condiviso con la sorella. Secondo l’accusa, tra il 2005 e il 2009 parti del terreno sarebbero state via via vendute. E il denaro sarebbe in parte transitato sul conto comune dei due fratelli, ma in parte sarebbe finito altrove, ha spiegato il legale della parte civile. Denaro che la sorella non ha mai visto e che non è riuscita a ottenere nemmeno nei vari tentativi fatti per arrivare a una conciliazione con il consanguineo, per ritirare la denuncia. La difesa, rappresentata dall’avvocato Vittorio Spagni, ha invece evidenziato come proprio per la procura “generale” firmata dalla donna, il fratello aveva tutto il diritto di vendere e reinvestire il denaro frutto della vendita. Anche in Bot argentini, come la difesa sostiene abbia fatto senza però trovare buoni risultati e di fatto andando a perdere la somma. Il pm aveva chiesto 8 mesi di condanna. La parte civile, una condanna in cui il beneficio della condizionale fosse collegato alla restituzione del denaro. Il giudice Alessandra Cardarelli ha ritenuto più consona una condanna a dieci mesi. Il reato per gli episodi fino al 2006 è prescritto. La condanna si riferisce al periodo tra il 2009 e il 2009. Che comunque si prescriverà prima dell’appello. (el.pe)