«La disoccupazione è il nemico da battere»
Il presidente di Industriali Reggio Stefano Landi: «La flessibilità regolata porta occupazione»
REGGIO. «La peggior forma di precarietà oggi è la disoccupazione». Ne è convinto il presidente degli Industriali reggiani, Stefano Landi a cui abbiamo chiesto di commentare il dato sulla precarietà nella nostra provincia, portato alla ribalta dai sindacati. Un dato che Landi contesta, almeno come «indicatore oggettivo dell’occupazione: ricordiamo - dice Landi - che a Reggio il tasso di disoccupazione è il 5,9% contro il 8,5% regionale e il 12,2% nazionale, segno che il sistema locale ha saputo assorbire meglio il colpo della crisi».Secondo Landi «tuttavia, a fronte di prospettive di crescita ancora deboli e incerte, ampliare la possibilità di fare contratti flessibili per durata può costituire una leva importante per indurre le imprese ad accelerare la dinamica delle assunzioni e quindi ridurre il periodo di “ripresa senza occupazione”». Sempre secondo il presidente degli Industriali, poi, «il contratto a termine non va visto come il simbolo della “precarietà”, bensì va considerato come uno strumento di flessibilità regolata e, come tale, è utilizzato in tutti i principali Paesi europei. Uno strumento che amplia l’accesso all’occupazione e combatte la peggior forma di precarietà: la disoccupazione». Secondo Landi «sarebbe pertanto un errore, soprattutto nell’attuale situazione di incertezza che limita l’orizzonte in cui si trovano ad operare le imprese, non voler promuovere le assunzioni anche attraverso questo tipo di contratto». Insomma, una visione - quella di Landi - diametralmente opposta a quella della Cgil. Anche sul versante dei dati: «Nel decennio tra il 1998 e il 2007 - dice - le politiche che hanno reso flessibile il mercato del lavoro hanno consentito di creare oltre tre milioni di nuovi posti di lavoro, hanno dimezzato il tasso di disoccupazione e aumentato la componente femminile». Secondo Landi, infine, «occorre creare le condizioni perché il rapporto di lavoro “standard”, a tempo pieno e indeterminato, sia reso, proprio a ragione della sua durata non definita, più adattabile alle esigenze che, nel tempo, si manifestano da parte del mondo produttivo». (m.s.)