Operazione Octopus, l’inchiesta s’allarga agli appalti pubblici
Nel mirino degli inquirenti anche alcuni “affari” sospetti che potrebbero coinvolgere professionisti reggiani compiacenti
REGGIO EMILIA
Reggio trema. Perché la maxi inchiesta per frode fiscale – culminata in tredici misure restrittive – starebbe portando gli inquirenti verso altri ambiti economici della nostra città e sembra di essere davanti ad un pozzo senza fine.
Dopo i clamori degli arresti nella notte fra l’11 e il 12 giugno, il lavoro investigativo è andato infatti avanti senza sosta e soprattutto sotto traccia, sentendo tutta una serie di indagati: dagli otto nomi eccellenti di quest’indagine (accusati di associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale, riciclaggio e truffa allo Stato) sino a diversi imprenditori (anche reggiani) che per chi indaga avevano molto a che fare con le fatture per operazioni inesistenti (in gergo “foi”) che stanno al centro di questa vicenda. E “qualcuno” a quanto pare ha cominciato a parlare, visto che l’interesse – in specie della guardia di finanza – si starebbe concentrando su versanti nuovi, in particolare sugli appalti pubblici, anche se starebbero affiorando loschi affari di ogni genere e con un unico comun denominatore: un impressionante flusso di denaro.
Un’ulteriore “svolta” che porterebbe gli investigatori a non escludere coinvolgimenti dei cosiddetti “colletti bianchi”, cioè quel mondo di professionisti compiacenti che – se provato – metterebbe purtroppo Reggio sullo stesso piano di altre città italiane e di altre importanti inchieste quanto a malaffare.
Negli ultimi giorni sono stati sentiti – più o meno in segreto – Mirco e Gianluca Salsi, Antonio Silipo nonché diversi titolari di aziende che avrebbero emesso (le cosiddette “cartiere”) o utilizzato le fatture fasulle. E presto sarà la volta dell’opinionista televisivo Marco Gibertini: dopo il “mutismo” all’interrogatorio di garanzia, vuole ora farsi interrogare dal pm Valentina Salvi che coordina la maxi inchiesta e in tal senso il 48enne ha già presentato l’istanza tramite l’avvocato difensore Liborio Cataliotti. Secondo gli inquirenti, Gibertini faceva leva su una miriade di “contatti” e sarebbe il punto di raccordo delle varie “sfaccettature” di questa banda. La ricostruzione fatta dalla procura mette da una parte i finanziatori che offrivano in premessa la liquidità necessaria per poter poi emettere fatture false per un ammontare accertato di 33 milioni di euro. Poi ci sono veri e propri "spalloni", che trasportavano il denaro proveniente da Roma e diretto al nord. Infine, ci sono una miriade di aziende (anche reggiane) che utilizzano queste fatture false per evadere le tasse.
La cricca, però, aveva utilizzato uno stratagemma diverso rispetto a molte altre frodi. Solitamente, infatti, una volta arrivata, la fattura viene saldata dall'acquirente che paga il venditore. In questo caso, invece, l'organizzazione – forte della liquidità che aveva – anticipava il denaro al venditore, che lo restituiva maggiorato tramite un bonifico tracciato dalla banca. Il margine della differenza tra quanto anticipato e il bonifico, rappresentava il guadagno dell'organizzazione.
Cosa ci guadagnava l'acquirente che utilizzava la fattura falsa? Semplice: dalla sua azienda drenava in maniera apparentemente lecita i soldi che l'organizzazione gli aveva dato in anticipo e se li metteva in tasca. Di fatto portava fuori ricchezza tramite fatture false ineccepibili, con tanto di registrazione e flussi finanziari dichiarati. Erano quindi in grado di crearsi crediti Iva fasulli, pagando poi meno tasse perché con le fatture d'acquisto aumentavano i costi diminuendo l'utile e quindi le imposte. C'erano poi le frodi: dichiarandosi esportatori abituali, potevano acquistare senza anticipare l'Iva rivendendo merce a prezzi ribassati rispetto alla concorrenza.
E su questo complesso nonché inquietante “intreccio” aleggia la criminalità organizzata che, a Reggio, ha il marchio ’ndrangheta, da qui ulteriori spunti investigativi al vaglio dell’Antimafia.