Gazzetta di Reggio

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Ferrarini vince il concorso letterario

Ferrarini vince il concorso letterario

Il reggiano primo a Montemignaio con il racconto “Sally”: ecco il racconto integrale

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REGGIO EMILIA. Si chiama Fabrizio Ferrarini il reggiano che ha vinto il concorso nazionale di narrativa del comune aretino di Montemignaio. La premiazione ha incoronato l’autore tra gli oltre trecento pretendenti che hanno inviato elaborati alla giuria.

Arrivato alla sua decima edizione, il concorso di Montemignaio ha sempre premiato autori che hanno poi trovato spazio in case editrici di rilievo. Ferrarini, 42 anni, è nato e ha sempre vissuto a Reggio Emilia , dove tutora lavora come professionista. «Il mio è un racconto su tutte le ipotesi di verità possibili e sull’unica verità dei fatti che esiste – afferma l’autore parlando del testo che gli ha fatto vincere il concorso – Sally è forse mille donne, forse una soltanto. E sta al lettore, non a me, decidere quale».

Già premiato in diversi concorsi nazionali, tra i quali quello di Cosseria, Ferrarini ha pubblicato nel 2008 il romanzo “Cerchi chiusi”, ma predilige la forma del racconto breve «che lascia grande libertà di invenzione e sperimentazione». Su gentile concessione dell'autore, ecco il racconto premiato.

 

Sally

 

Capitolo uno – Suo padre

 

Sally?

Cosa volete che vi dica?

E’ una lurida troietta.

Sì, lo so, sono suo padre e quindi certe cose di lei non le dovrei dire, ma questa è solo la dannata verità. E poi, dopo che vi avrò raccontato tutta quanta la storia, sarete d’accordo con me, ne sono sicuro.

Aveva dodici anni, dodici anni, avete capito?

Quel giorno stavo tornando dai campi, dovevano essere le undici e mezzo e io risalivo lungo la collina per arrivare al cortile di dietro e mettere i piedi sotto la tavola. Sono passato di fianco al granaio e mi sono fermato un attimo, lo sapevo che a quell’ora non c’era niente da fare nel granaio, infatti io mica ci andavo mai a quell’ora nel granaio, ma quel giorno lì è come se qualcuno mi avesse sussurrato di entrarci. Non ho fatto nemmeno in tempo a mettere i piedi dentro il fieno che è spuntato fuori il figlio del meccanico, non mi ricordo come si chiamava quel ragazzino, ma gli altri lo chiamavano il papero, per come camminava; dicevo, è spuntato fuori questo mezzo bambino con ancora il fieno addosso e ha iniziato a farfugliare qualcosa dicendomi di stare calmo e che non stavano facendo niente di male, e dietro a lui quella troietta di mia figlia non riusciva neanche a stare seria e le si vedevano solo una fila di denti bianchi sotto le lentiggini.

Io ho fatto finta di stare fermo e mi sono lasciato avvicinare, poi gli ho tirato un calcio dritto sul muscolo della gamba e quando il ragazzo è andato giù ho preso un martello e gli ho detto, ‘facciamo che adesso tu vai a casa e non ti fai più vedere, se no questo te lo infilo nel culo’. Lui è scappato via e lei non rideva più ma io ero ancora nervoso, mica potevo sapere se avevano fatto qualcosa o no. Gliel’ho chiesto e lei mi ha detto di no, che si erano dati solo qualche bacio, si, qualche bacio. Comunque era inutile, non potevo saperlo e ormai dovevo mettermi il cuore in pace, io non sono uno di quelli che tirano giù le mutande a sua figlia per vedere se c’è del sangue. Le ho detto di andare in casa, quando mi è passata di fianco le ho mollato uno scapaccione di traverso sulla nuca che si è sentito il rumore in tutto il granaio.

Quella è stata solo la prima e anche una delle più innocenti che mi ha combinato.

A quindici anni mi ha rubato la macchina per andare a farsi fottere. Cioè, secondo me è andata così. Fatto sta che io faccio per prendere la mia Tipo e non la trovo, giro dietro casa per vedere se l’ho parcheggiata là, sapete, la sera prima al bar giù al paese avevo alzato un po’ il gomito, ma niente da fare, non c’è nemmeno lì. Allora entro in casa e chiedo a Emilia, Emilia è mia moglie, se sapesse dove cazzo era finita la mia macchina. Lei non sapeva né dove fosse la macchina, né dove fosse Sally e visto che due più due fa ancora quattro ho capito subito che era stata lei, la lurida troietta, a farmela fuori. Così ho dovuto prendere la bici e girare per più di tre ore le strade basse, finché sotto sera vedo la mia Tipo là parcheggiata in mezzo a un campo, con una sospensione tutta schiacciata e quattro imbecilli appoggiati al cofano come dei palloncini sgonfi. Scendo dalla bici e mi ci incammino a piedi, per non fare rumore e sorprenderli che non se l’aspettano. Quando arrivo lì c’è Sally assieme a due stronzi che avevano al massimo sedici anni e quella sua amica succhiacazzi che si fa chiamare Ginger perché si vergogna di chiamarsi Maria.

Erano lì che si stavano drogando.

Cioè, se parli con quelli che hanno studiato la psicologia è buono che ti spiegano che poi non era proprio droga droga, perché fumavano dell’erba invece di spararsi in vena l’eroina, ma voi come la chiamate una cosa che dopo che te la sei fatta riesci solo a stare lì sbattuto per terra e ridere come un cretino?

Il bello è che nessuno di loro si è alzato, neanche quando ho iniziato a camminargli addosso per arrivare alle tasche del giubbotto di Sally, cristo, quel giubbotto l’ho rivoltato con lei dentro finché non ho trovato le chiavi, poi sono montato in macchina e sono partito sparato in retromarcia che ancora uno di quegli stronzi era appoggiato al cofano. Ho caricato la bici e sono tornato a casa, Sally ha suonato il campanello che sarà stata mezzanotte passata ma non le ho aperto, ho dovuto cacciare quattro urla a mia moglie per farla andare a letto, lei si preoccupava che sua figlia stava prendendo un po’ di freddo, le ho detto che si sarebbe dovuta preoccupare un po’ di più di quello che sua figlia aveva già preso.

L’anno dopo c’è stata la storia di zio Adolfo. C’era venuto a trovare per il pranzo della domenica poi prima di cena lui e sua moglie sono andati via. Stavo mettendo i primi pezzi grossi nel camino mentre l’Emilia scolava ancora le pentole e c’era già proprio quell’odore di pino secco, quando suonano il campanello. Viene dentro lo zio e dice che non trova più il suo portafoglio, se ne sapevamo qualcosa; io ho capito subito che c’era di mezzo Sally e mi sono incazzato della grossa, sono diventato tutto rosso dalla vergogna e anche dalla rabbia, ma non ho detto niente, per la rabbia e per la vergogna, gli ho detto solo che avremmo controllato e che gli avremmo telefonato se fosse saltato fuori. Poi, appena gli ho chiuso la porta dietro, sono volato in camera di Sally per farla spifferare, ma niente, non c’è stato niente da fare, lei continuava a insistere che non sapeva di cosa stavo parlando. Tre giorni dopo arriva a casa con un giubbetto di jeans nuovo che non si capisce come ha fatto a comprarselo, allora non ci ho visto più, l’ho presa per un braccio, l’ho portata su e le ho rivoltato la camera da cima a fondo, compreso il materasso e l’armadio. Non è venuto fuori niente, la troietta li aveva già spesi tutti i soldi.

I mesi prima che scappasse sono stati i peggiori. Ginger non suonava più il campanello di casa nostra, aveva imparato che era meglio non farlo, ma dai campi la vedevo che si appollaiava sulla collinetta di fronte, quella dei Dallari, e da lì si faceva notare, così poi Sally scendeva e andavano insieme a drogarsi e a farsi sbattere.

E’ scappata dopo che mi sono deciso a mandarla in riformatorio. Sicuro che ho sbagliato, gliele ho date tutte vinte per diciassette anni e quando ho deciso di fare qualcosa ormai era tardi. Dovevo mandarcela a cinque anni in riformatorio, forse allora sarebbe cresciuta dritta, ma non l’ho fatto perché non c’erano i soldi, mica per altro. E poi mia moglie diceva che era solo una bambina e con il tempo sarebbe andata meglio, invece poi è andata sempre peggio.

Ho venduto una vacca di quelle vecchie per pagare la prima rata del riformatorio e quella troietta ci è scappata dopo meno di due settimane. Meno di due settimane.

Non è più passata per casa, ha fatto bene, sennò era la volta che la massacravo di botte.

L’ho beccata giù in paese un pomeriggio, deve essere stato dopo una ventina di giorni. Lei aveva il viso tirato, le occhiaie un po’ peste e quando mi ha visto ha stretto i pugni, anche se se li teneva lì bassi lungo le gambe, poi ha iniziato a indietreggiare. Io le sono andato appena un po’ più vicino, ma non troppo, avevo il vestito della festa e anche il capello così non mi andava di fare scenate, le ho detto, ‘quelle occhiaie lì è la droga o è il farsi sbattere?’. Lei non ha risposto niente ma si è visto che aveva accusato il colpo, infatti ha risposto con qualcosa che non c’entrava niente del tipo che ormai aveva diciassette anni e che non la potevo costringere e che non sarebbe più tornata.

Io le ho detto che se pensava che mi stessi strappando i capelli per riportarla a casa si stava sbagliando di grosso e che anzi, dopo avermi fatto vendere la vacca per pagarle il riformatorio da cui era scappata, prima di tornare a casa doveva ridarmi i soldi.

Poi le ho detto che se voleva poteva passare da casa a salutare la mamma e io non avrei fatto nulla per trattenerla. Ma lei non si fidava. Infatti da casa non ci è passata per un bel po’.

Ma tanto sapevo che prima o poi sarebbe tornata. Tutti quei cani bastardi da gregge che un giorno non li vedi più, puoi star sicuro che quando hanno finito le cagne e il cibo te li trovi una mattina che gironzolano a elemosinare un po’ di carne come se fossero vittime.

La prima volta che è andata a trovare sua madre è stato dopo più di sei mesi, era un giovedì mattina, lei sapeva bene che io il giovedì mattina vado giù al mercato. Però proprio quel giovedì al mercato non c’ero andato perché girava una malattia dei polli e allora non volevo averci niente a che fare, non volevo mica portare l’infezione dentro il mio pollame. L’ho vista che entrava in casa tutta di fretta, poi devono aver parlato un bel po’ perchè alle undici e mezzo era ancora dentro e io sono stato nei campi con le mani in mano quasi un’ora per non incontrarla.

Adesso che sono passati tre anni non so dov’è e non me ne frega niente. Ma se invece vi interessa sapere chi è, beh, ve l’ho già detto all’inizio, non è nient’altro che una lurida troietta.

L’ultima volta l’ho vista che camminava sbilenca abbracciata a quell’eroinomane di Ginger con di fianco due stronzi che tirano a campare rivendendo roba rubata.

Sally, qui a casa, meno ci torna e meglio è per tutti.

Se alla fine scoprite dov’è non ditemi niente, preferisco ricordarmela com’era a cinque anni.

 

Capitolo Due – Ginger

 

Chi è Sally?

Beh, era la mia amica del cuore, adesso non so che fine ha fatto.

Io e Sally eravamo inseparabili.

Sì, certo, voglio dire, sono state anche le circostanze che ci hanno fatto diventare così amiche. Ma amiche era poco, ci correva nelle vene proprio lo stesso sangue.

Dicevo, le circostanze. E’ stato a scuola, in terza media, sono entrata in classe senza conoscere nessuno, l’anno prima mi avevano bocciata, così il primo giorno, come per istinto, le ho chiesto se mi potevo sedere di fianco, è così che ci siamo conosciute.

Dopo meno di un mese eravamo già sui sedili posteriori di due tubolari a scappare da scuola e rintanarci nei bar di collina. Due volte a distanza di pochi giorni, con quei due di seconda superiore, uno si faceva chiamare ‘Julian’, l’altro neanche me lo ricordo, comunque la prima volta io mi sono fatta baciare da Julian e lei dall’altro, e poi la volta dopo, visto che a nessuno dei quattro era poi piaciuto tanto, Sally si è fatta baciare da Julian e io dall’altro.

Sono stati loro che ci hanno fatto provare l’ascish la prima volta. Julian dava fuori di matto per le lentiggini di Sally e non capiva perché non si lasciasse toccare neanche le tette, così un sabato pomeriggio di novembre ha organizzato su a Borzano nella casa estiva dei suoi, e ha portato qualcosa come sette o otto canne, per noi quattro. Io ero già partita dopo la prima, ma ho continuato e non è che so di preciso poi cosa mi è successo, mi ricordo solo che il giorno dopo Julien era incazzato marcio perché diceva che Sally si era fatta appena mezza canna e non si era voluta neanche far toccare le tette, con tutto che lui ci aveva speso una settimana e aveva alzato dei soldi per mettere in fila tutto quanto. Certo che Sally era strana, si metteva in quelle situazioni che non sembravano avere più via d’uscita, per poi far andar fuori di testa tutti quanti e comportarsi come una suora. Mah, questo di lei non l’ho mai capito.

Forse era un modo per tenere nascoste le cicatrici di tutte le botte che aveva preso da suo padre. Beh, di legnate ne ha prese parecchie. Sì, suo padre è uno di quelli che va tutto fiero che non guarderebbe mai nelle mutande di sua figlia, e questo è vero, ma poi non va a dire in giro tutte le botte che le ha dato.

Sally mi ha raccontato almeno cento volte di quando aveva dodici anni e si era chiusa nel granaio con Tommy, si erano dati due baci a occhi chiusi e denti stretti. Suo padre ha mezzo massacrato Tommy, poi le ha tirato uno scapaccione che l’ha fatta volare per terra e le ha sputato addosso dicendole - ‘sei proprio una lurida troietta’.

Sally mi ha raccontato che una sera è tornato a casa dal bar ubriaco fradicio e appena messo piede dentro l’uscio è caduto contro il mobile dell’ingresso, lei lo ha aiutato a rialzarsi e gli ha sorriso, così, un po’ per tranquillizzarlo, un po’ per riderci sopra, lui si è sentito preso per il culo e le si è buttato addosso con tutto il suo peso mandandola a sbattere con la spina dorsale contro il mobile dell’ingresso e poi a terra, standole sopra con quell’alito di vino ha urlato - ‘Ecco, così adesso ridi meno’. E la notte dopo l’ha fatta dormire fuori casa.

Oppure quella volta che si è comprata il giubbotto nuovo di jeans con i risparmi delle paghette, dio quante volte me l’ha raccontata questa storia, suo padre si era fissato che lei avesse rubato il portafoglio a un suo zio e le ha distrutto camera, le ha spezzato tutti gli Lp e le ha preso il giubbotto per rivenderlo. Oltre alle solite botte che quella volta, se ricordo bene, le avevano anche spaccato il labbro inferiore.

Io glielo dicevo da un po’, scappa di casa, andiamo a vivere da qualche parte insieme, in qualche modo rimediamo i soldi dell’affitto, lo intestiamo a mio fratello che è maggiorenne, ma lei niente, ripeteva sempre che non voleva lasciare da sola sua madre con quella bestia. Poi lui l’ha fatta rinchiudere in riformatorio e finalmente Sally è scappata, finalmente ha iniziato a vivere.

Voi non avete idea di quante risate ci siamo fatte insieme, forse sono state più le risate che le canne, ma su questo non ci scommetterei.

Di sicuro lei si è fatta più risate che uomini. E’ una di quelle, ma già ve lo dicevo, che arrivava fino lì, un passo prima, la divertiva che so, l’avere un ragazzo che impazzisse per lei o che morisse dalla voglia di farsela, per lasciarlo a mezz’aria, il più delle volte accontentarlo con qualche bacio e nulla più, non ricordo quante scuse diverse ho sentito uscire da quella bocca in tre soli anni.

Comunque le cose tra noi hanno iniziato ad andare male quando è diventata lagnosa per la storia dell’ero. Un giorno mi ha preso in disparte e mi ha fatto due palle così, sembrava mia madre morta, non devi drogarti, così finisce che ti becchi l’aids o l’epatite e ti fai mettere incinta da uno che neanche hai visto in faccia, ma io le dicevo, e a te che cazzo te ne frega, non ti fai tu di ero, mi faccio io.

Il fatto è che non le andava giù che mi fossi messa con ‘Tita’, lui mi veniva a prendere con il Bmw, non mi faceva mai mancare la roba e potevamo starcene anche tre giorni interi fatti senza che nessuno venisse a rompere, poi lui smetteva di farsi per una giornata o due e mi lasciava nel suo letto, diceva soltanto, ‘torno subito, piccola, un giorno o due al massimo, tu aspettami qui che torno come babbo natale, con le borse piene di cibo e le tasche piene di roba’.

Sally ci veniva mal volentieri da lui, così adesso avevamo preso a vederci meno, poteva capitare una o due volte a settimana, in quei giorni in cui lui era via la tempestavo di chiamate finché non mi passava a prendere e allora andavamo da qualche parte a far passare le ore e far finta che eravamo ancora amiche come un tempo.

Poi ho capito che aveva ragione suo padre a darle della troia, ma è stato troppo tardi.

Un giovedì sera mi ha riportata a casa, Tita era tornato, così lui si è affacciato e le ha detto, ‘dai, Sally, sali un attimo con noi’, ma lo ha detto così, per dire. Lei non si è fatta pregare e tempo mezz’ora era con noi sul divano, seduta dalla sua parte, con in faccia quel broncio che precedeva i suoi mezzi sorrisi. Il suo tipico comportamento da vacca, io ero già bellecchè fatta, mentre lei aveva fumato giusto mezza canna e Tita la stava implorando di provare una dose di ero; tanto per cambiare il maschietto era ai suoi piedi.

E’ stato a quel punto che ho combinato il casino, ma per dio, si stava per fottere il mio uomo, quella lurida troia.

Poi mi sono addormentata, oppure ho perso coscienza, non so di preciso, so che quando mi sono svegliata Tita stava gridando come un pazzo, se ne stava lì piegato su se stesso senza prendere a calci niente e gridava e basta, io all’inizio ho pensato che gli avesse preso male l’ero.

Invece, sapete cosa cazzo aveva fatto Sally? Aveva fatto l’unica cosa che lei sapeva fare, era scappata, ma stavolta lo aveva fatto a noi. Era scappata con la Bmw e tutti i soldi che aveva trovato dentro il portafoglio di Tita, più di tre milioni. L’auto l’abbiamo ritrovata, cioè.

Dopo quattro giorni abbiamo visto uno zingaro che ci girava sopra e quando Tita si è avvicinato sono usciti anche dei coltelli. Poi degli amici sono andati a fare visita al campo nomadi e la mattina dopo la Bmw era parcheggiata sotto casa con il pieno fatto. Ma di Sally e dei soldi non s’è più saputo niente.

Dopo quella volta non l’ho più vista, giuro. Ha telefonato un po’ di volte. All’inizio non sapevo che fosse, cioè che era lei, perché prendeva il telefono Tita e diceva solo pronto, pronto, e dall’altra parte sbattevano giù, poi un giorno, quando lui era fuori a procurarsi roba, il telefono è squillato, ho risposto io ed era lei. Mi ha chiesto come stavo e che voleva che la raggiungessi dov’era. Le ho detto che di quella chiamata non avrei detto niente a Tita ma che lei doveva fare finta che ero morta, perché dopo quella cosa dei soldi e della macchina io non sapevo neanche più chi era. Lei ha cominciato a insultarmi per il casino che avevo fatto e allora ho chiuso il telefono e ho cercato di scordarmi che lei fosse mai stata mia amica. E che fosse mai esistita.

Non ci sono riuscita, ma non la voglio rivedere. E’ una che pensa di sapere come si deve vivere ma poi non vuole davvero impararlo. Riesce solo a fare la morale e a fare casini, alla fine dove c’è lei ci sono guai, è come se tirasse fuori il peggio dalle persone per poi dare la colpa agli altri.

Se mi chiedete chi è Sally non so bene cosa dire, la cosa che ci assomiglia di più è una troietta frigida.

Una troietta frigida che per me è morta.

 

Capitolo Tre – Suo marito

 

Sally, quando l’ho conosciuta era arrivata in paese giusto da qualche giorno. Veniva dal nord, anche se nel suo caso il nord era appena al di là degli appennini. Qui, anche se dista poco più di centocinquanta chilometri da casa sua, ho capito subito da come ci scrutava che si sentiva una straniera e proprio per questo protetta. Mi sono chiesto molte volte perché, dopo tutte quelle difficoltà legate a un contesto di degrado e di ignoranza agreste, avesse deciso di provare a vivere ancora una volta in un piccolo paesino, invece che, che so, a Firenze, se proprio le piaceva la Toscana.

L’ho vista la prima volta seduta da sola al tavolino del caffè della piazza, avvolta in una camicetta verde di una taglia troppo stretta, a passare insistentemente l’indice sul bordo della tazzina mentre era persa in pensieri di sconfitta o di rivincita, dopo pochi minuti le ho chiesto se potevo sedermi e ci siamo messi a parlare fitto fitto, fino a quando è stato chiaro a tutti e due che volevamo davvero rivederci, parlare ancora, sentirci quel giorno stesso, così abbiamo preso a tirarla per le lunghe sperando che venisse presto sera, volevamo superare l’un balzo il clichè inutile del - ‘ti chiamo più tardi’.

Poi ci siamo chiamati, siamo usciti e ci siamo innamorati. Ma se siete interessati a Sally allora vuol dire che non vi va di ascoltare soltanto la storia del nostro breve matrimonio, ma piuttosto la storia triste della sua giovinezza. In questo caso non posso aiutarvi, perché tra noi c’era come una regola, io non chiedevo, lei non diceva.

Certo, quando dormi abbracciato a tua moglie e lei ha segni addosso, capisci in fretta che devi imparare a sapere meglio quelli che le stanno sotto la pelle. Una cosa soltanto mi ha raccontato, il giorno in cui è scappata via dall’Emilia.

Una sera aveva riaccompagnato a casa la sua migliore amica, una tale Ginger che da un po’ aveva preso a farsi di eroina e stava cadendo nel classico loop di più spesso, più droga, più bisogno. Questa tossica viveva con uno stronzo che si faceva chiamare Tita, quella sera mentre Sally accompagna Ginger sotto casa lui si affaccia e le dice, come se la invitasse a entrare in un luna park senza bisogno del biglietto, dai sali, ci facciamo un bicchiere insieme e poi tanti saluti. Lei fa la cazzata di dire di sì, va su e lì si bevono quel fottuto bicchiere. Poi lui tira fuori l’aschish e Sally gli chiede se le può rollare una canna. Lui annuisce ben contento, mentre Ginger inizia a dare segni di insofferenza per quella situazione, allora lui le mette il laccio attorno al braccio e le spara in vena una dose di eroina, così, per tenerla calma e fuori dalle palle.

Adesso Ginger è mezza collassata seduta per terra con la schiena appoggiata al divano, guarda dal basso in alto Sally e il suo uomo sul divano, mentre lei si fuma la sua canna con un mezzo sorriso ironico e lui le si avvicina forse per provarci o forse solo per il gusto di poter poi dire che una bella come Sally con lui ci sarebbe stata, se soltanto avesse voluto.

Ginger allora si alza e va a rabboccare i bicchieri, ancora mi chiedo dove possa aver trovato la forza di alzarsi in quelle condizioni, ma Sally ha sempre insistito che è assolutamente sicura che lui non si sia mai alzato da quel divano, insomma dicevo lei va a rabboccare i bicchieri e glieli porta. Sally beve e dopo poco più di cinque minuti inizia a percepire le voci sciogliersi lontane, e la vista perde prima i contorni poi i colori. Mi ha detto che non è mai stata del tutto addormentata, e che probabilmente i suoi occhi erano aperti, ma lei non vedeva nulla. Non sappiamo cosa le avesse messo nel drink, forse una dose massiccia di sonniferi o più facilmente qualche pastiglia di ecstasy. Beh, in ogni caso adesso Sally è lì sul divano, come rannicchiata dentro il suo corpo ma senza che sia davvero suo, ha gli occhi aperti ma non ci vede, come un fottuto oracolo messo alla gogna, quando le toccano la pelle del braccio le sembra che la stiano toccando con dei guanti ovattati.

Apre la bocca ma non le esce niente, lei si rende conto di tutto quanto, lo sa anche prima che inizino cosa le sta per succedere, nel buio le risa di lui e di lei diventano urli striduli, le legano al braccio la cintura, qualche colpo debole sull’avambraccio interno e l’ago che entra piano in vena, il caldo, una spada che affonda un millimetro alla volta dentro la carne rossa, una sensazione di caldo e di soffocamento al contempo, come affogare in un mare di aria, così me l’ha descritta Sally, e Ginger che le sussurra - ‘Dopotutto l’hai voluta provare l’ero, eh, troietta’.

Ecco, potete ben capire perché dopo quel racconto non le abbia chiesto più nulla del suo passato, avrebbe significato infliggerle dolore inutile, preferivo godermi il tempo con lei e provare a costruire insieme un futuro, invece di piangere su un passato che sarebbe comunque sempre stato lì, uguale a se stesso, anche se avessimo provato a seppellirlo di parole.

All’inizio eravamo come anime gemelle, voglio dire, io uscivo da una storia durata sei anni e finita male, finita come finiscono tutte le storie, lei mi aveva tradito e la cosa era andata avanti talmente tanto che alla fine, quando si era decisa a dirmelo, era quasi innervosita dalla mia incapacità di capire che già da un po’ era venuto il momento di togliersi di torno.

Ho incontrato Sally dopo poco più di tre mesi e come ci siamo incontrati ve l’ho già raccontato, ma quello che non vi ho ancora detto è che dopo tre mesi esatti che stavamo insieme avevamo già deciso di sposarci, abbiamo organizzato il matrimonio in comune, il diciassette di settembre, a sei mesi dal nostro primo incontro.

Ci siamo presi in affitto un piccolo appartamento poco fuori Casole d’Elsa, uno di quelli con i mattoni a vista e il camino in soggiorno, insomma le cose sembravano andare bene per davvero, io continuavo con il mio lavoro in paese e lei aveva iniziato a dare una mano giù al bar della piazza la mattina e qualche pomeriggio. Mi ricordo che quel primo autunno insieme era come fatato, la sera scendevamo a passeggiare anche dopo che era finita la luce e io mi perdevo a osservare la riva nera dei fossi, ci presentivo dentro le sue labbra un po’ gonfie e quelle lentiggini quasi arancioni.

Ci tenevamo per mano sempre. Lo dico perché sono queste le cose che possono dare l’idea di come stavamo, più di mille acrobazie sceniche, ecco, se in un’immagine volete fotografare di che tipo di famiglia si stia parlando, io sceglierei di dirvi che la sera non smettevamo mai di parlare mentre apparecchiavamo la tavola, e mentre cenavamo, e sparecchiavamo, poi la notte dormivamo abbracciati. Ogni notte abbracciati.

Non so di preciso quando abbia iniziato ad allontanarsi, però ho il ricordo vivido di un pomeriggio freddissimo di fine febbraio, io ero in auto, stavo parcheggiando in piazza, ero andato a farle una sorpresa al bar e invece di parcheggiare e correrle incontro e sentirla sciogliersi in un sorriso come mi ero immaginato, ero costretto lì fermo, con l’auto in moto, a vedere attraverso il vetro lei che dopo aver servito un cappuccino ad un ragazzo ci si fermava a parlare e gli sorrideva, la radio trasmetteva ancora quella canzone triste di Johnny Cash e il rumore del tergicristallo sul vetro quasi asciutto era anche il rumore che mi rimestava dentro; lei ha guardato di sfuggita la cassa, si è seduta un attimo e ha sorriso ancora, poi si è subito rialzata ed è tornata a fare il suo lavoro. Allora ho messo la prima e sono andato via. La sera ho aspettato e aspettato ancora, prima di andare a letto mi sono chiuso in bagno a pregare che lo facesse, ma lei non mi ha detto niente. Mi ricordo di aver serrato gli occhi appoggiandoci sopra una mano aperta che diventava umida e di aver pensato - ‘Ecco, ci siamo di nuovo’.

Infatti è andata così.

Da quel pomeriggio è passato un anno e otto mesi. E’ tanto tempo. E’ stata come una montagna che si è erosa, c’è voluto tempo, ogni giorno un briciolo di meno del necessario per poterci provare di nuovo e un briciolo più del necessario per riuscire a smettere di pensarla.

Certo, non l’ho mai beccata con un altro, ma sono sicuro che è stata almeno con altri tre. Lei piuttosto che ammetterlo si sarebbe fatta uccidere, non sapete quante volte l’ho massacrata di domande e quante volte l’ho messa davanti a prove così evidenti che anche un bambino avrebbe capito di trovarsi in una posizione insostenibile, ma non c’è stato nulla da fare, lei ha sempre negato.

No, non l’ho mollata, non ne avrei mai avuto la forza.

Pensate che non più tardi di otto mesi fa è scoppiata a piangere, io pensavo che finalmente volesse confessare i suoi tradimenti, invece no, piuttosto che confessare ha preferito rilanciare, ha detto queste parole precise, ho buona memoria io - ‘Senti, ci ho pensato, dobbiamo uscirne da questa situazione assurda, facciamo un bambino’.

Ok, le ho detto, facciamo questo bambino.

Così le ho detto e quella sera, dopo, abbiamo fatto l’amore per fare un bambino e anch’io sono stato felice come non lo ero da tempo, quella sera sono persino riuscito a scordarmi dei suoi tradimenti e delle sue derisioni alle mie spalle. Beh, un bambino non si fa in un mese. E soprattutto un bambino non si fa se nel mentre continui a vedere quegli stronzi che ti ronzano attorno al bar della piazza.

Ecco, dopo cinque mesi che mi aveva detto in lacrime che voleva un figlio da me, mi ha piantato. Mi ha piantato vuol dire che non ha lasciato nessuna traccia, niente telefono, niente indirizzo, niente di niente. Andando via mi ha anche ripulito dei contanti che tenevo nel cassetto del comodino e dei miei tre orologi, ma di questo non è che me ne freghi un gran che. Quello che mi fa incazzare davvero è che i soldi che si è fatta con quegli orologi non li userà per prendersi cura di lei, ma li spenderà uno di quegli stronzi che se la vogliono solo scopare.

Mi ha mollato tre mesi fa, io sono vuoto e lo sarò ancora per un bel po’, forse per sempre, ma almeno una cosa l’ho capita, me ne sono davvero convinto e il mio psicologo dice che è un passo avanti, lei non tornerà mai più da me.

La notte mi capita quasi sempre di svegliarmi a piangere e di giorno mi perdo a pensare al suo sorriso sotto un arancione soffice che si allarga.

Poi, in altri momenti, me la immagino che si fa scopare da quel ragazzo del bar e mentre lo fanno lui mi imita e ridono alle mie spalle, allora mi capita che se sono da solo urlo - ‘troia, sei una gran troia’, è liberatorio, ecco tutto.

Sally è tutto quanto questo, una persona che sa renderti felice e che poi un attimo dopo sa esattamente come spezzarti il cuore.

E lo fa.

 

Capitolo Quattro – Sally

 

“Ma tu chi sei veramente?”

Sally non sapeva bene come rispondergli.

Prima di farlo si perse a guardare il mare placido e infinito da quel capanno appena rialzato sul monte del Conero; il vento spirava fresco già ora che erano poco più delle tre. Non era una risposta facile, riflettè, certo più che una domanda quella era una provocazione ed un complimento, ma lei voleva rispondergli come se fosse solo una domanda.

Lui non aveva fretta, o almeno lei si era fatta questa idea, così prese tempo senza starsi a preoccupare che il silenzio potesse essere interrotto dalle parole. Pensò che per scappare da qualcuno forse scegliersi una regione confinante non era poi una gran bella idea, ma sembrava che lei riuscisse a tagliare un cordone a patto di stringersene un altro appena un poco più distante. Sperò in quel momento che non avrebbe mai più incontrato quello che era ancora suo marito.

Quando era scappata non aveva quasi più forze, era andata via e solo nei giorni seguenti, con la consistenza della distanza, aveva capito che era stata a pochi centimetri dal compiere un’azione ben più definitiva che lasciare una casa e una vita. Aveva passato più di un anno a tentare di discolparsi dalle accuse di tradimento ma non c’era stato nulla da fare. Lui voleva la conferma di essere stato tradito, voleva quella, non gli interessava cosa fosse successo veramente.

Lei lo amava, lo amava come non aveva amato nessun altro finora e aveva pensato a lungo che avrebbe sopportato tutte le umiliazioni del mondo pur di mandare avanti quella coppia che era già una famiglia, una coppia e una famiglia in cui per la prima volta nessuno le aveva fatto del male.

Sally era istintiva, lei lo sapeva bene e si lasciava assecondare in questa sua natura senza preoccuparsene troppo, quando lo vide ripiegarsi nella sua paranoia provò ad anticipare un desiderio che in lei come donna era maturo già da un po’, stava soltanto aspettando che anche lui fosse pronto per essere padre, ma aveva capito che di lì in poi lui avrebbe iniziato ad allontanarsi anziché avvicinarsi ad esserlo. Così gli disse, facciamo un bambino.

All’inizio sembrò funzionare, la prima settimana fu splendida, come tornati ai primi giorni di matrimonio, ma poi il suo tarlo prese di nuovo a scavare imperterrito, ogni giorno a mangiare un millimetro di fiducia, come se si sentisse tradito anche da suo figlio non ancora concepito.

Sally ritornò con la mente a due mesi prima, quando di nascosto riprese a inghiottire la pillola per non aggiungere errore a errore, ora lui iniziava ad avere le prime crisi di violenza che per il momento si abbattevano sulle cose. Peccato che fosse troppo tardi, peccato che il mese successivo quando fece la visita ginecologica per chiedere se fosse normale che al primo mese di pillola non avesse avuto le mestruazioni le risposero che sì, era normale non avere le mestruazioni quando si era incinta di due mesi.

Così si era presa tre giorni di malattia senza essere malata, tre giorni in cui la mattina lo baciava quando lui usciva di casa e non sapeva se sarebbe stata ancora lì la sera, perché le faceva male andare via, almeno tanto quanto restare, e le avrebbe fatto male non rivederlo più. Fu più difficile del previsto, in quei giorni lui era calmo ed era come specchiarsi in uno specchio che si sta allontanando, ci vedi dentro la vita che stai facendo ed è proprio quella che vorresti, ma sai che devi volgere lo sguardo altrove perché se guardi ancora un po’ lì dentro poi non vedrai più nulla, nulla se non un riflesso di luce lontano, nulla se non un lume che trema e si dissipa nella notte.

Adesso c’era lui e Sally aveva l’obbligo di farlo nascere in un posto normale, in un modo normale. Il pomeriggio del terzo giorno prese tutti i contanti che riuscì a trovare in casa, i suoi tre orologi da rivendere e andò alla stazione, quelle cose, si disse, erano tutti gli alimenti che gli avrebbe mai chiesto.

“Io sono quello che vedi. Quello che non vedi è che sono incinta di tre mesi”.

L’uomo parve decisamente sorpreso, abbassò lo sguardo sul bicchiere per riconsiderare la situazione. Aveva un completo blu scuro di Pignatelli, sopra una camicia bianca di cotone, dai gemelli d’oro e dalla sicurezza con cui si muoveva Sally scommise sul fatto che doveva essere un manager.

“Sei bellissima e quando inizierà a vedersi la pancia lo sarai ancora di più”.

Sally sorrise, era vero, e quell’uomo se l’era saputa cavare davvero bene.

“Come ti chiami?”

“Giorgio, io mi chiamo Giorgio”.

“Giorgio, se non mi sbaglio quella è una fede, vero?”

“Sì”.

“E allora, Giorgio, cosa vorresti da me?”

“Conoscerti meglio, se anche a te va. Io lavoro e vivo a Roma, con la mia famiglia, sto bene, siamo…, insomma sto bene. Sono qui per seguire la riorganizzazione di una nostra azienda collegata, mi fermo ancora per quattro giorni, così se ti va, la sera, possiamo passare un po’ di tempo insieme, che so, cenare, passeggiare. Sono abbastanza vecchio da non cacciarmi in casini sapendo che potrebbero essere tali e ancora abbastanza giovane da essere attratto da una bella ragazza come te”.

Sally sorrise, le sembrava di avere di fronte una persona che fosse completamente disinteressata a lei, se non per quello che aveva sulla pelle, ma al contempo una persona che non le avrebbe finalmente tolto nulla. Forse la cosa più giusta da fare sarebbe stata declinare l’invito, ringraziarlo e andarsene via. Dopotutto lei sapeva di non essere quella lurida troietta che diceva suo padre, o Ginger o suo marito. Ma Sally era stanca, davvero troppo stanca di cavarsela senza scorciatoie.

Si chiese se accettare le avrebbe potuto fare un po’ male, era possibile di sì, era probabile di no, in ogni caso le avrebbe fatto immensamente meno male di quello che le avevano già fatto gli altri.

“Senti Giorgio, io ho abbastanza contanti per pagarmi l’affitto e il cibo per sei mesi, non di più. E dentro la pancia c’è mio figlio. Tu hai, quanti anni hai, quaranta?”

“Quarantadue”.

“Quarantadue. Hai ancora un bel fisico, sei belloccio e hai un modo di fare piacevole. Ma non ti sceglierei per fare l’amore, forse se avessi dieci anni di meno sì, ma con vent’anni esatti di differenza no. Però potrebbe essere piacevole cenare insieme. Quello che devi a tua moglie lo devi tu a lei, non è affar mio, io so quello che devo io al mio bambino. Quindi, sì, mi va, passiamo questi quattro giorni insieme. Stiamo insieme come due amici, poi, se non diventa una cosa lugubre o viscida, facciamo sesso. Non scopiamo, non facciamo l’amore. Facciamo sesso, anche tutte le sere se ci va. E tu, per mio figlio, cosa puoi fare?”

“Per le tue lentiggini e per il tuo sorriso, il resto non è affar mio. Stasera sei invitata al Cordial, diciamo per le otto e mezzo, sei pregata di portare con te molto appetito. Io vengo accompagnato da cinquemila euro in contanti e ci liberiamo di questa formalità prima di cena. Così, poi, tu potrai decidere cosa fare per il resto della serata e dei prossimi quattro giorni”.

“Guarda bene che non sia uno di quei ristoranti in cui portano il menù alle signore senza prezzo, perché io voglio ordinare solo i piatti più cari”.

“Come vuole lei signorina. Sei davvero bellissima quando ridi”.

“Me l’hai già detto due volte, non è che per caso hai dei secondi fini?”

“No, no, che secondi fini. Voglio chiedere la tua mano. Ma scusami, ora devo tornare al lavoro, sennò poi stasera rischio di fare tardi e non avere il tempo di passare dalla banca per il prelievo”.

“Allora ti lascio andare immediatamente, solo un’ultima cosa…”

Quel brandello di conversazione era scivolato via ironico come una foglia staccatasi da un ramo nodoso che dà a vedere di danzare per sempre libera nell’aria, facendo finta di non sapere che presto cadrà a terra.

“… rispondi tu adesso alla domanda che mi hai fatto, io chi sono veramente?”

Lui si protese in avanti e ancora un poco, fino quasi a sfiorarle le labbra, lei non si ritrasse di un millimetro – “Una bellissima mamma”.

Sally aprì appena la bocca piegando un poco la testa, prese a sorridere da dentro, non tanto per quello che le disse quell’uomo, ma perché per la prima volta lo specchio che aveva davanti le restituiva esattamente l’immagine che lei aveva dentro la testa.