Commesso massacrato a pugni e calci dai rapinatori
Castelnovo Sotto: il dipendente del supermercato "Dipiù" di via Parmiggiana è svenuto sotto i colpi dei banditi che volevano la cassaforte
CASTELNOVO SOTTO (Reggio Emilia). «Non metterò più piede in quel supermercato, mai più». Parla a denti stretti, Massimiliano Petromelli, 38 anni con gli occhi rossi di paura e di rabbia. Troppo dolorosa è l’immagine dei due uomini che gli volano addosso, all’improvviso, riempiendolo di calci e di pugni. E ancora forte è il dolore di tutti quei colpi andati a segno, con crudele precisione, sulla sua schiena, sulle sue gambe, sul suo volto.
La terribile aggressione è avvenuta ieri mattina a Castelnovo Sotto: Massimiliano era appena arrivato al supermercato “Dipiù” di via Parmiggiana – dove lavora come responsabile – quando due uomini sulla quarantina, due magrebini, l’hanno picchiato a sangue per farsi consegnare le chiavi della cassaforte del discount. Un terzo, nel frattempo, è rimasto fuori a fare il palo.
«È successo tutto in una manciata di minuti – dice – ma mi è sembrata un’eternità. Non riuscivo a scappare, non riuscivo a difendermi. Ero a terra e loro continuavano a calciarmi e colpirmi ovunque». Nello sforzo di raccontare che cosa gli è successo, la voce di Massimiliano si rompe e gli occhi si riempiono di lacrime. Non c’entrano la schiena e le gambe doloranti, però: a premere sulle palpebre è la paura.
«Come ogni mattina sono arrivato a lavoro alle sei e mezza, sei e quaranta – dice, riprendendo il controllo – ho parcheggiato l’auto sul retro del supermercato e sono andato a piedi davanti all’entrata secondaria, quella usata da noi dipendenti. Prima di infilare le chiavi nella serratura mi sono guardato intorno, lo faccio sempre perché non si sa mai, ma non c’era nessuno. Così sono entrato e ho disinserito l’allarme. Ma non ho fatto in tempo a voltarmi e chiudere a chiave».
I tre rapinatori – che probabilmente erano rimasti acquattatti nel piazzale fino a quel momento – gli sono volati addosso senza dargli la possibilità di chiamare aiuto. E nemmeno di scappare. «È stato un attimo – racconta Massimiliano con il terrore negli occhi – ho alzato la testa e loro erano lì. Hanno spinto con violenza la porta, colpendomi sul naso. Mi sono piegato per il dolore, e sono entrati». Da questo momento in poi il racconto del commesso si fa sempre più offuscato. Impossibile mantenere lucidità tra un calcio sui polmoni e un pugno sul collo.
«Non finivano più di picchiarmi – dice, incredulo – e ovunque mi voltassi non riuscivo a evitare i colpi. Non si sono fermati neanche quando sono caduto a terra. Mi ricordo che a un certo punto mi hanno chiesto i soldi, ma io non avevo niente in tasca». Non era il portafoglio di Massimiliano, però, a interessarli. L’obiettivo dei rapinatori, infatti, era la cassaforte del supermercato. «Mi hanno chiesto di aprirla ma io ho detto di no. Allora mi hanno picchiato più forte – racconta, ancora sotto shock, il commesso –. Per farli smettere ho tirato fuori la chiave e gliel’ho data». Poi, il buio. Un altro colpo alla testa e Massimiliano ha perso conoscenza. «Mi sono svegliato sull’ambulanza», dice.
E forse non sa che a chiamare i soccorsi è stato un fornitore, arrivato alle sette per vuotare il suo camion. «Non so cosa è successo nel supermercato – continua il commesso – Non so se i ladri sono poi riusciti a rubare qualcosa». Ma, disteso sul lettino del pronto soccorso, questa è la sua ultima preoccupazione. I pensieri tornano alle tante volte in cui, allarmato dalla frequenza dei furti compiuti nel discount, aveva chiesto al titolare di installare un sistema di videosorveglianza.
«Lavoro al “Dipiù” da un anno e mezzo – afferma Massimiliano, con ritrovata lucidità – e solo in questo periodo il supermercato ha subìto tre furti. Non mi sentivo al sicuro senza le telecamere, e avevo ragione. Gli uomini che mi hanno aggredito sapevano come muoversi, probabilmente mi avevano osservato per scoprire le mie abitudini, e senza videosorveglianza hanno potuto farmi tutto questo – dice guardando il suo corpo disteso sul lettino – Ma una cosa è certa: non tornerò a lavorare lì. Non mi voglio far uccidere per mille euro al mese».
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