Gazzetta di Reggio

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«Conti bloccati, non ce la facciamo più»

«Conti bloccati, non ce la facciamo più»

Casalgrande: il grido disperato di una madre e del figlio disabile per un pignoramento da 12mila euro legato ad un debito

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CASALGRANDE. Un conto postale bloccato, che impedisce a un ragazzo tetraplegico di ricevere l’accompagnamento, necessario per le sue cure.

È la conseguenza più pesante di una complessa vicenda di debiti, ingiunzioni e malattie che vede al centro una famiglia italo-rumena residente da anni nel distretto ceramico, prima a Scandiano e poi, dall’estate scorsa, a Casalgrande. Formata da un uomo italiano, con una disabilità del 60 per cento per problemi di udito, da una donna rumena e dal figlio, avuto nel paese natale da una precedente relazione, bloccato da una tetraplegia che lo rende invalido al 100 per cento. La madre, oggi, è disperata – e non è un’iperbole – perché impossibilitata a curare a dovere il ragazzo.

La coppia ha avuto, come migliaia di famiglie, problemi di liquidità negli anni scorsi, finendo per non pagare diverse mensilità alla loro padrona di casa fra il 2012 e il 2013, quando abitavano nel centro di Scandiano. La proprietaria dell’abitazione si è rivolta a un avvocato per ottenere quanto le spettava, chiedendo il pignoramento dei beni dei debitori per una cifra attorno ai 12mila euro totali, comprensivi di interessi e danni.

Non avendo proprietà immobiliari, il provvedimento approvato dal tribunale di Reggio ha portato al blocco di due conti correnti postali, aperti nella filiale scandianese, almeno sino all’udienza in tribunale fissata per il 24 settembre. Uno è intestato al marito, il secondo ha doppia titolarità, madre e figlio, dove si trovavano poco più di 500 euro.

E qui sono partiti i problemi seri. Non tanto per i soldi presenti, ma perché il conto postale doppio è quello su cui il ragazzo riceve ogni mese le quote di accompagnamento e di pensione per l’invalidità – una somma che si aggira attorno ai 700 euro complessivi – oltre ad un assegno di cura bimestrale sui mille euro.

Il blocco ha congelato completamente il conto e ora la famiglia si trova senza alcuna liquidità. E questo nonostante la creditrice, tramite il suo legale, abbia acconsentito a sciogliere il vincolo, perché nel frattempo ha trovato un accordo alternativo: il 20 per cento dello stipendio del marito, che da poco ha ritrovato lavoro, verrà destinato direttamente all’ex padrona di casa, sino all’esaurimento del debito.

Dopo questa soluzione, l’avvocato ha inviato una lettera protocollata alle poste dove spiegava che il blocco cadeva completamente, e che comunque avrebbe dovuto riguardare solo il 50 per cento della somma. Ma, almeno per ora, nulla è cambiato: il conto rimane sempre inaccessibile, e le Poste, per riattivarlo, chiedono un’autorizzazione del tribunale. Nel frattempo, però, la famiglia rischia di annegare, perché anche gli accompagnamenti verranno versati sul conto postale non utilizzabile, almeno per il prossimo mese. E quindi diventerà complesso comprare le medicine e portare in giro il ragazzo per le tante terapie che deve fare abitualmente in diversi ospedali regionali.

«Noi abbiamo sbagliato: avevamo problemi economici, eravamo senza lavoro e non siamo riusciti a pagare l’affitto. Io questo non lo discuto e non dico certo che abbiamo ragione su questo – spiega la madre – Però non è giusto che ne paghi le conseguenze mio figlio. Lui non ha fatto niente, almeno il suo 50 per cento dovrebbe essere utilizzabile. In questo momento non sappiamo davvero cosa fare, fra un po’ non sapremo nemmeno come fare il pieno di benzina all’automobile per trasportarlo». Il dialogo, per ora, non ha funzionato: «Ho girato le varie filiali delle Poste, sono arrivata sino alla sede provinciale a Reggio Emilia ma niente da fare. Senza il via libera del tribunale non sbloccano nulla, dicono che non possono farlo – racconta – Ma l’udienza ci sarà il 24 settembre, mancano quasi due mesi. E i soldi che legittimamente mio figlio riceve non li possiamo usare. Come possiamo fare? Questo non è giusto, spero proprio che cambino idea, non è ragionevole né corretto».

Adriano Arati