Mafie e affari, l’intreccio svelato da Cortocircuito
Il collettivo reggiano ha presentato il nuovo film sulla ’ndrangheta nella Bassa Minari: «Tanti reggiani non parlano, altri hanno fatto soldi con questa gente»
REGGIO EMILIA. «L’escavatore della ditta nella quale lavoravo è stato dato alle fiamme. Poi l’azienda ha cominciato a subappaltare lavori a imprese del sud». L’improvvisa parabola di un’impresa reggiana è contenuta nella stucchevole testimonianza resa a volto coperto da un lavoratore reggiano davanti alle telecamere dei ragazzi della web-tv reggiana Cortocircuito. Si tratta di una delle poche denunce raccolte contro la voracità dei capibastone della ’ndrangheta emigrata a Reggio Emilia, contenute nel film “La ‘ndrangheta di casa nostra, radici in terra emiliana”, nuova video inchiesta sul radicamento della criminalità organizzata nella nostra provincia. La video-inchiesta integrale dei ragazzi di Cortocircuito è stata presentata ieri sera a Casalgrande. La sala del teatro De André – dove si è tenuto l’incontro – era gremita, e l’attenzione alle stelle. Il pubblico, composto da persone di tutte le età ma con una forte prevalenza di giovani, ha seguito in rigoroso silenzio l’inchiesta.
Un’indagine giornalistica a tutto tondo, girata questa estate dopo il successo mediatico dell’ultimo lavoro del collettivo, "40 roghi a Reggio Emilia", premiato con riconoscimenti da parte di enti ed esponenti della lotta contro le mafie. I ragazzi della web-tv tornano quindi alla carica con una nuova produzione che vede vestire i panni di regista ad Elia Minari, reggiano di 22 anni con il quale hanno lavorato altri cinque giovanissimi reporter, in grado di confezionare un prodotto di altissimo livello.
Dentro c’è tutto, forse troppo per le orecchie degli intervistati, che nella maggior parte dei casi non si sono voluti esprimere sul radicamento della ’ndrangheta in terra reggiana. C’è l’appalto per una scuola assegnato senza certificazione antimafia, le storie di imprenditori “espropriati” delle loro ditte, fino all’approdo a Brescello, terra dove si è insediato da anni l’imprenditore edile Francesco Grande Aracri, condannato in via definitiva per mafia all’interno dell’inchiesta Edilpiovra. Nello sfondo ci sono le presunte aderenze con il mondo della politica, tema che viene toccato nell’inchiesta del collettivo. «Abbiamo voluto indagare in maniera più approfondita la presenza delle mafie a Reggio Emilia» spiega Minari: «Il radicamento della criminalità organizzata nel nostro territorio è stata agevolata da chi ha sempre chiuso un occhio in questi anni. Non lo diciamo noi, è scritto in documenti autorevoli, relazioni della magistratura e delle forze dell’ordine». Per tirare i fili dell’inchiesta, Minari e la sua squadra hanno girato alcuni comuni della provincia. «A tacere non sono stati solo calabresi, campani o siciliani ma molti reggiani doc» dice il giovane videomaker, «Una diffidenza e un silenzio che ci hanno abbastanza impressionato».
A sedimentare è il seme di un’indifferenza solo apparente, che ha fatto da sponda soprattutto alla colonizzazione nel mondo dell’edilizia e dei trasporti. «A Brescello - continua Minari - abbiamo sentito venti persone e nessuno ha mai parlato male della famiglia di Grande Aracri. Per tutti sono dei grandi lavoratori e soprattutto hanno dato da lavorare a molte persone. Frasi che francamente ci saremo aspettati di sentire forse al sud, ma mai nel cuore dell’Emilia. Come dicono le relazioni dell’antimafia, parte del territorio reggiano era ben disposto a fare affari con personaggi legati alla ’ndrangheta. Lo dimostrano le 50 aziende bloccate da provvedimenti della prefettura tra Modena e Reggio». La sequela di eventi e casi notevoli sembra non aver fine mentre scorrono i trenta minuti del film. «Abbiamo cercato di capire come sia stato possibile affidare un appalto al massimo ribasso per la costruzione della scuola di Montecchio senza che l’azienda avesse presentato il certificato antimafia - dice Minari - Siamo poi tornati sulla vicenda del cantiere dell’alta velocità di Reggio, raccogliendo testimonianze sulle ditte che all’inizio degli anni 2000 si presentavano in cantiere offrendo prezzi bassissimi e avendo a disposizione numerosi camion, vicenda ora al centro di un’indagine. Abbiamo poi raccolto le testimonianze di imprenditori reggiani, intervistati in modo anonimo, che ci hanno parlato di come aziende sane sono finite in mano a personaggi legati al malaffare. Infine abbiamo raccolto tra le altre le dichiarazioni del sindaco di Brescello, Marcello Coffrini, che ha definito Francesco Grande Aracri un uomo “gentilissimo, tranquillo, composto, educato” e che “ha sempre vissuto a basso livello”. Siamo rimasti sinceramente sbalorditi, visto che si tratta di una persona colpita da una condanna per mafia».