Gazzetta di Reggio

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NDRANGHETA

«Ma quale clan, ci sudiamo quei soldi»

Tiziano Soresina
«Ma quale clan, ci sudiamo quei soldi»

I fratelli Sarcone si difendono: «Lavoriamo per le coop, abbiamo ditte sane, non sapevamo di non poter fare prelievi»
Il sindaco di Bibbiano: "Persone sgradite"

25 settembre 2014
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BIBBIANO. Fanno quadrato i fratelli Sarcone, in un intreccio di sguardi d’intesa e arrabbiature trattenute mentre davanti a loro il personale dell’Antimafia e i carabinieri mettono i sigilli e fotografano il loro sterminato patrimonio: ville, appartamenti, ditte, capannoni, mezzi edili, auto.

Dopo tre ore di silenzi rabbiosi, spiegazioni agli inquirenti e trasferimenti dove vengono eseguiti i sequestri, c’è anche spazio – di fronte all’azienda edile “Sarcia srl”, in via Sacco e Vanzetti, nell’area industriale a Ghiardo di Bibbiano – per un’improvvisata intervista. I quattro fratelli d’origine cutresi trovano una sorta di sfogo davanti al tacuino e il tutto avviene sotto gli occhi delle forze dell’ordine. Domande a volte interrotte da squilli dei familiari sui cellulari dei quattro fratelli.

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Chi parla, per tutti, come un leader è il 43enne Gianluigi Sarcone, il più giovane, mentre il più vecchio, cioè Giuseppe (descritto dalla Dia come il più infastidito dal blitz) si limita a dire che «a Nicolino gliela vogliono far pagare a vita».

L’allusione è al fratello 49enne condannato in primo grado per mafia nel processo Edilpiovra e descritto dagli investigatori come un vero boss, un uomo di peso nel clan Grande Aracri. Nicolino, quindi, che è il più “noto” invece parla pochissimo, lasciandosi andare solo quando gli chiediamo le motivazioni di quanto sta accadendo: «Non sappiamo nulla e c’è poco da scherzare, siamo incazzati neri. E tutti i giornalisti che abbiamo visto durante i sequestri: come avete fatto voi a saperlo?».

Al di questo, Nicolino più che altro ascolta ed annuisce alle affermazioni di Gianluigi che fa da improvvisato portavoce. Solo silenzi dal 35enne Carmine che però, come gli altri, non perde un attimo di questo botta e risposta. L’inizio dei fratelli Sarcone è di quelli promettenti: «Quest’operazione è della Direzione investigativa antimafia (Dia) di Roma, è un’azione parlamentare!»

Vi stanno bloccando beni per 5 milioni di euro: per chi indaga una montagna di soldi e proprietà che si spiegano solo con attività illecite...

«Lo sappiamo, scrivono nell’ordinanza di sperequazione fra tenore di vita e reddito dichiarato. Ma è tutto frutto del nostro sudore, dal 2002-2003 siamo partiti con l’attività edile e c’era un sacco di lavoro, le banche ti finanziavano facilmente. E non abbiamo esercitato nessun potere, visto che non abbiamo ricevuto un solo appalto da aziende meridionali. Si è lavorato con grandi cooperative di Modena e Bologna, con l’Unieco, abbiamo costruito la scuola Boiardo di Scandiano. Le nostre sono ditte sane e lo dimostreremo».

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Per gli inquirenti c’erano già in atto dei vostri tentativi di sottrarre al sequestro ingenti somme di denaro.

«Sono tutte movimentazioni inconsapevoli dai conti correnti bancari, di familiari e soprattutto per l’attività lavorativa, come i bonifici per pagare i fornitori. Non sapevamo di fare una cosa che non potevamo fare, nel provvedimento non c’era scritto».

Siete accusati d’essere contigui al clan Grande Aracri...

«E’ una ricostruzione fatta senza basi. I cutresi sono nel Reggiano dagli anni Sessanta e dov’è tutta questa mafiosità? Deve essere dimostrata. Perché ci accusano? Perché quello è parente di quello, perché quello è andato a prendere un caffè con quell’altro. Non c’è niente di concreto. Oggi c’è questo clima. La verità è che stanno costruendo tutto attorno ad una persona: Nicolino Sarcone. E’ vero che è stato condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, ma solo in primo grado, non è una sentenza definitiva. E poi Nicolino, da quando è uscito di cella, fa l’autista. Noi fratelli l’abbiamo aiutato e lui è solo un dipendente. La ricostruzione degli investigatori contro di noi che viene fatta è priva d’attualità, si rifà a cose vecchie. E poi questa vicenda ci può essere utile...».

In che senso?

«Perché spero che fra un mese scriverete che è stata tutta una bolla di sapone. Sono accuse pesanti. Non siamo dei mafiosi e in tribunale vogliamo dimostrarlo».

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