Gazzetta di Reggio

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Dai vitigni storici un Lambrusco ducale

Luciano Salsi
Dai vitigni storici un Lambrusco ducale

La Confraternita dei vignaioli della Reggia ha ricevuto il diploma di Terra Madre al Salone del Gusto di Torino

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REGGIO EMILIA. Il vitigno autoctono Lambrusco di Corbelli, coltivato nel giardino segreto della reggia di Rivalta, ha conquistato una nicchia prestigiosa nella riserva dei prodotti tipici locali salvati dall'estinzione. La settimana scorsa il Salone del Gusto di Torino ha conferito il diploma di Terra Madre, la rete delle comunità del cibo creata da Slow Food, al Lambrusco della Duchessa, vinificato con i preziosi grappoli che la Confraternita dei vignaioli della Reggia raccoglie dalle dieci piante centenarie innestate con le barbatelle dell'antico vitigno.

Il riconoscimento è stato consegnato, nella serata dedicata a Terra Madre, a Ciro Anfuso, segretario della confraternita, a Romana Saccheggiani, vicesegretaria dell'associazione Insieme per Rivalta, e all'agronoma Simonetta Notari, membro di queste due associazioni. Ma quel che più conta è che i cinquecentomila visitatori della manifestazione torinese hanno potuto scoprire questa rarità enologica reggiana, apprezzata anche per il valore del complesso architettonico che le ha ridato vita. Ora non rimane che la ribalta dell'Expo per promuoverne almeno indirettamente l'etichetta.

Il Lambrusco della Duchessa è un vino rosso chiaro e secco miscelato con altre varietà di lambrusco. Il vitigno da cui si ricava prende il nome dal conte Corbelli, ex-gabelliere ducale, che all'inizio dell'Ottocento acquistò, insieme alla Reggia, la villa di Rivaltella, la villa con la vasca "di Corbelli" e i vasti poderi circostanti. In quei terreni era perfettamente acclimata quella particolare varietà di vite famosa per essere resistente alle malattie e per fornire vendemmie così copiose che i grappoli rimasti sulle viti venivano regalati ai passanti. In tempi recenti si credeva che fosse scomparsa, ma a Rivalta ne rimaneva vivissimo il ricordo.

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L'agronomo rivaltese Stefano Meglioraldi lanciò l'idea di ritrovarla. «Fu mio padre - riferisce Lauro Gaddi, membro della confraternita - che nel 2007 scoprì di averne ancora tre piante in un podere attiguo alla villa di Rivaltella. L'analisi del Dna compiuta al politecnico di Torino ce ne diede la conferma, differenziando il lambrusco di Corbelli da un altro autoctono, il lambrusco di Barghi, che era già stato recuperato».

Decine di volontari da allora si sono impegnati per realizzare l'impresa. Perfino gli scout dell'Agesci vi hanno dedicato giornate di lavoro, adottando ciascuno una pianta. L'anno scorso la lavorazione artigianale ha prodotto le prime cento bottiglie. Quest'anno se ne prevedono settanta, vinificate in collaborazione con un'azienda agricola locale.