La doppia preferenza di genere funziona solo a metà
Il centrosinistra elegge 14 donne su 31, nel centrodestra nessuna donna tra i 12 neoeletti. L'analisi dell'Istituto Cattaneo
REGGIO EMILIA. Le elezioni regionali che si sono tenute domenica 23 novembre hanno introdotto una importante novità. Sulla scia di altre regioni italiane, anche l’Emilia-Romagna ha adottato per la scelta dei consiglieri regionali il meccanismo della cosiddetta “doppia preferenza di genere”: all’elettore viene concessa la possibilità di esprimere due voti di preferenza. Nel caso decida di utilizzarli entrambi deve però esprimerli per candidati di genere diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza.
Le nuove norme stabiliscono inoltre che, nelle liste, uomini e donne siano rappresentati in maniera paritaria: “nelle liste circoscrizionali, a pena d’inammissibilità, se il numero dei candidati è pari, ogni genere è rappresentato in misura eguale, se il numero dei candidati è dispari, ogni genere è rappresentato in numero non superiore di una unità rispetto all’altro genere”.
Quali effetti questo meccanismo ha determinato nella selezione dei candidati e nella probabilità delle donne di essere elette? Vi sono differenze oppure no tra le varie forze e aree politiche in relazione alla loro propensione a candidare e a favorire l’elezione di donne in Consiglio regionale?
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L’Istituto Carlo Cattaneo di Bologna ha effettuato alcune elaborazioni dei risultati del voto appena conclusosi per determinare in che misura l’introduzione della parità di genere nelle liste e della doppia preferenza di genere in Emilia-Romagna abbia incrementato, da un lato, l’ammontare delle preferenze ottenute dai candidati di genere femminile e dall’altro, e come conseguenza, il numero di donne elette.
Le analisi confrontano le elezioni del 2014 con quelle del 2010. Per il 2010, considereremo soltanto i 40 seggi attribuiti nei collegi provinciali (tralasciando i 10 seggi del “listino” regionale), dove i candidati venivano eletti in base al numero di preferenze e non all’ordine di lista. Per il 2014, invece, la modifica della legge elettorale ha previsto l’abolizione del “listino” del Presidente e la conseguente elezione di tutti e 50 consiglieri (49 se si esclude il Presidente) in base alle preferenze ottenute.
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Iniziamo a osservare la percentuale di donne tra i candidati. Per facilitare la lettura dei dati abbiamo operato delle aggregazioni per aree politiche: centro-sinistra (ossia le liste collegate ai candidati Bonaccini nel 2014 ed Errani nel 2010), centro-destra (le liste collegate ai candidati Fabbri nel 2014 e Bernini nel 2010), Movimento 5 stelle, Altri. Sugli “altri”, trattandosi di una categoria residuale e per certi versi eterogenea, non ci soffermeremo più di tanto.
Nel 2010 queste aree erano molto differenziate: se nel centro-destra le donne erano solo il 20% delle candidate, nel centro-sinistra erano quasi il doppio. Interessante notare lo scarso grado di femminilizzazione del M5S nella sua fase “nascente” (questo in contrasto con quel che è poi avvenuto nella classa politica espressa da questo partito a cominciare dal “boom” elettorale delle Politiche 2013).
Nel 2014, in conseguenze, alle nuove norme richiamate in precedenza, le quattro aree finiscono per uniformarsi (si può peraltro notare che in tutte, i limitati margini di libertà consentiti da queste nuove norme sono sempre utilizzate a favore degli uomini – in tutte e quattro le aree, infatti, la percentuale di donne tra i candidati è leggermente inferiore alla metà).
Essere inserite in lista (in misura pari alla metà, o poco meno) non basta, ovviamente, ad essere elette. Occorre conquistare le preferenze. Ci possiamo a questo punto chiedere qual è la percentuale di preferenze conquistate dalle donne nelle quattro aree politiche che abbiamo individuato? Vi sono stati cambiamenti tra il 2010 e il 2014? Vi sono differenze tra un’area politica e l’altra?
Nel 2010, i voti di preferenza attribuiti ai candidati donna amplificavano in misura fortissima le differenze tra centro-sinistra (area in cui il 30% delle preferenze andava a donne) e centro-destra (area in cui la percentuale di voti di preferenza per le donne si fermava al 2%).
Nel 2014, si può vedere che nel Centro-sinistra e nel M5s la percentuale di voti di preferenza che vanno a candidati donna è sostanzialmente simile alla percentuale di donne presenti tra i candidati: nel centro-sinistra le donne sono il 48% dei candidati e conquistano il 47% dei voti, nel M5s le donne sono il 46% e conquistano il 51% delle preferenze (in sostanza, nel M5S le donne si dimostrano leggermente più forti degli uomini nel conquistare preferenze).
Nel centro-destra, invece, la propensione dell’elettorato a votare per le donne è molto più bassa e i voti conquistati dalle candidate donne sono solo il 22% di tutte le preferenze che vanno a quell’area politica.
In conseguenza di questo diverso comportamento dei rispettivi elettorati, l’effetto delle nuove norme sul numero di donne elette risulta molto differenziato da un’area all’altra. Qui, trattandosi di
piccoli numeri, abbiamo riportato, accanto alle percentuali, anche i valori assoluti.
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Nel centro-sinistra e nel Movimento 5 stelle, il “combinato disposto” delle norme sulle candidature e la propensione degli elettori a votare in maniera egualitaria per uomini e donne ha portato a gruppiconsiliari sostanzialmente paritari (anzi, nella piccola pattuglia del “5 stelle” la presenza femminile è superiore). Nel centro-destra, invece, la propensione dell’elettorato a premiare i candidati uomini ha sostanzialmente vanificato le novità della legge elettorale: tra i 12 neo-consiglieri di quest’ara politica non vi è nessuna donna.
Nota: Il totale degli eletti con preferenze nel 2010era di 39 unità, mentre nel 2014 di 49. * Nel “listino” le donne erano esattamente la metà (5 su 10).
**Nel 2010 il centro-destra ha comunque portato in consiglio la candidata alla presidenza Anna Maria Bernini.
Analisi a cura di Marta Regalia e Rinaldo Vignati, Fondazione di ricerca Istituto Carlo Cattaneo
Sito web: www.cattaneo.org