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Non fuga dalle urne ma sciopero di popolo democratico

Giuseppe Raspadori
Non fuga dalle urne ma sciopero di popolo democratico

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Romagna mia, romagna in fiore...è più che un illuminante raggio di sole: cambiare si può, cambiare si deve. Credo che i giornali che hanno intitolato «fuga dalla urne» abbiano sbagliato titolo: non di «fuga» si è trattato ma di sciopero, sciopero di popolo democratico, sciopero diffuso e spontaneo. In futuro si potrà fare ancora di meglio.

E i governi regionali di Emilia e di Calabria, se mai avranno la faccia di bronzo di formarsi, saranno solo governi di crumiri inconsapevoli che ancora una volta hanno risposto alla chiamata dei seggi elettorali. Una nuova strategia sta venendo avanti, non è più disposta a farsi imbrigliare da obsolete regole elettorali.

Penso al nostro spudorato e screditato consiglio provinciale asserragliato con la cassa nel palazzo, che da un anno sta lì tappandosi occhi ed orecchie per non recepire ciò che viene dal popolo, sta lì grazie a una delega che ancora non ci è dato richiamare. Ma oggi un «movimento», spontaneo e diffuso e di grandi dimensioni ha preso autonomamente avvio, e troverà sicuramente modi di far sentire la propria voce. Non si è forse sempre detto che le elezioni servono per contarsi ?

Oggi non è il 25 percento di Grillo, ma il  settanta per cento a dire «andatevene a casa, non vi vogliamo più, vogliamo altre regole per la democrazia elettorale». Sordi consiglieri provinciali, vi ricordate quell'11 di marzo, quando trentatre trentini entrarono nell'aula con lo striscione «restituite il maltolto», vi ricordate come vi nascondeste dietro il volto paonazzo del vostro presidente che gridava contro «l'anti-politica» degli sdegnati ?  Ebbene, quella fu solo l'intuizione di un momento. Bastava solo aspettare.

Oggi è una vera esondazione, quella che fuoriesce dalle urne. La stragrande maggioranza non ci sta più al gioco democratico come lo intendete voi e dall'Emilia Romagna prorompe una chiara indicazione a tutta Italia: di non accettare di essere la massa di manovra che si offre come consenso a chi poi, ottenuto il mandato, fa quel che gli pare, a cominciare da stipendi lunari e vitalizi in una società in cui ci sono paghe da due-tre euro all'ora e disoccupazione.

Stiamo a vedere se gli «eletti» in Romagna oseranno occupare i seggi del consiglio regionale in presenza di cotanta disconferma.

Perché il 37percento di votanti, al posto dell'82percento delle politiche dell'anno scorso, segnano un'astensione che non è una «fuga», ma una presenza assai eloquente di dissenso. Non un dissenso «depressivo», ma un silenzio/dissenso che si impone all'ascolto, un clamoroso silenzio che è determinazione a farsi sentire in altri modi, che un intero popolo non dismette il piacere della politica interpretata massicciamente fino a ieri per lasciare campo libero ai cialtroni delle liturgie elettorali.

Ha fatto male, ha commesso un grosso errore, Renzi a commentare i dati di queste elezioni regionali dicendo «abbiamo conquistato due regioni». Le regioni non sono territori di una campagna di conquista imperiale, tu non sei Cesare, e non siamo a duemila anni fa. E' altro il commento che mi aspetto nelle prossime ore, e che Renzi deve rettificare se vuol restare in sella e guidare questo paese.

Mai più una delega senza diritto di recesso.