Gazzetta di Reggio

Reggio

la nostra tavola

"Tipicamente reggiano": le eccellenze gastronomiche del territorio

 "Tipicamente reggiano": le eccellenze gastronomiche del territorio

27 novembre 2014
13 MINUTI DI LETTURA





REGGIO EMILIA. La città e la provincia dispongono di un “armamentario” dal punto di vista enogastronomico che la pone tra le “corazzate” del settore, ovvero tra i territori con una forte connotazione legata alle caratteristiche dei propri prodotti. Naturalmente, non è un’isola in mezzo al mare, quindi la sua cucina appartiene a pieno titolo al più ampio contesto emiliano, così come è caratterizzata da alcuni ingredienti tipicamente padani, come il burro, le paste fresche e ripiene, il maiale, che distinguono queste cucine da quella mediterranea.

Le tipicità presenti nel territorio reggiano sono molto numerose. Ad esempio, i prodotti ad indicazione geografica dell’Emilia-Romagna, che attualmente superano i 40, sono per la maggior parte presenti nel reggiano. Tipicamente reggiano è il fatto che il nome del territorio compaia su pochi di questi prodotti, il Parmigiano Reggiano e l’Aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia.

Quindi, al di là di questi prodotti, dei quali uno molto famoso e l’altro molto esclusivo, nelle Dop ed Igp emiliane Reggio ha una presenza “silente”. L’esempio caratteristico può essere quello della salumeria, dove il nome di Reggio non compare mai, ma dove il territorio reggiano è uno dei fornitori di materia prima per tutti i prodotti di salumeria del centro nord Italia; questo è ancora vero, anche se la suinicoltura nella provincia si è molto ridimensionata, dimezzando i capi in pochi decenni e passando da una delle primissime realtà produttive del maiale ad un ruolo più defilato.

Per ritrovare la salumeria reggiana, bisogna guardare all’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali inseriti nell’elenco nazionale, dove troveremo il salame di Canossa o di Castelnovo Monti o lo zuccotto di Bismantova. Altro esempio, l’Aceto balsamico di Modena (non “tradizionale”) per quanto intitolato a Modena, comprende nella zona di produzione la provincia di Reggio Emilia.

[[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.10389655:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.10389655:1649471520/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]

Tipicamente reggiano è anche il fatto che siano poco conosciute, nello stesso territorio provinciale oltre che fuori dai suoi confini, la ricchezza enologico di cui Reggio dispone. Infatti se è molto conosciuto il lambrusco Reggiano (che gode del riconoscimento Dop), molto più di nicchia sono le molte varianti che stanno sotto la denominazione dei Colli di Scandiano e di Canossa, e le altrettanto numerose varianti che caratterizzano l’Igp Emilia. Analogamente, nel reggiano pochi (e soprattutto addetti ai lavori) sono consapevoli che sul nostro territorio c’è la plancia di comando del più grande gruppo vitivinicolo italiano, che è tra i maggiori d’Europa e del mondo. Un po’ più popolare è il fatto che il lambrusco (di cui il reggiano è parte importante) è il vino italiano più esportato  nel mondo, e proprio da Reggio è iniziata la conquista dei mercati esteri.

La cucina reggiana, si diceva all’inizio, condivide molte caratteristiche con le sorelle emiliane, ma questo non significa che non abbia proprie particolarità, tra le quali segnaliamo forse la più particolare costituita dal territorio montano di Baiso e dintorni dove trionfa la “tavola di Bisanzio”, un’enclave gastronomica dove la pecora sostituisce il maiale, con alcuni caratteristici prodotti di salumeria derivati proprio da questo animale.

Elemento principe della cucina di Reggio Emilia è in ogni caso il maiale, allevato fin dal medioevo nei suoi territori. Dal suino, oltre ai salumi insaccati come prosciutti, salami, viene ricavato lo strutto, ingrediente base nelle cucine reggiane. Grande importanza viene data al formaggio, quasi esclusivamente Parmigiano-Reggiano, ed ai latticini, come il burro. Tra le verdure spiccano gli spinaci e le bietole, usati in due dei più noti piatti reggiani: i tortelli verdi e l'erbazzone.

E’ una cucina quella reggiana, che affonda le proprie radici nel mondo contadino, i cui piatti più conosciuti, che riportiamo qui in alcune schede, corrispondono nella maggior parte dei casi con i piatti “della festa”, legati a  momenti particolari dell’annata. Oggi noi li abbiamo sempre disponibili nella ristorazione o nei negozi di pasta fresca, ma è giusto essere consapevoli che non rappresentavano l’alimentazione quotidiana di un tempo, dove prevalevano pasta fresca fatta in casa, minestroni, riso, e dove nulla andava perduto, per cui ad esempio le tagliatelle le potevi ritrovare in brodo, ma anche in frittelle o su di una torta.

Dunque, una cucina contadina, di cui diamo qui alcune caratteristiche specialità, scelte tra le più conosciute, ma anche tra le più particolari. Le schede sono ricavate da fonti in qualche modo ufficiali, quali l’elenco dei prodotti tradizionali inseriti nell’elenco nazionale, dove le schede sono elaborate dalla Provincia di Reggio Emilia e tali prodotti (80 attualmente) sono realizzati con metodi produttivi eseguiti in maniera simile e secondo le regole tradizionali per almeno 25 anni; inoltre per alcune abbiamo utilizzato la pubblicazione della Provincia “Tabula Regia” ed il sito internet (sempre della Provincia) reggioemiliaturismo.

LE SCHEDE

UN TESORO DI ACETO

[[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.10389656:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.10389656:1649471520/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]

Con l’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia (ricono­sciuto nel 1987 da un decreto ministeriale) ci addentriamo nella più alta tradizione gastronomica, dove una sapienza tramandata nei secoli si innalza a vera e propria testimonianza di cultura.

Il monaco Donizone, contemporaneo biografo della contessa Matilde, nel secolo XII ricordava un laudatum acetum che da Canossa fu trasportato in dono all’imperatore con una botticella d’argento.

La storia documentata dell’aceto balsamico reggiano (e di quello modenese, suo più noto fratello) risale al Rinascimento, periodo a partire dal quale risale la tradizione, prima nobiliare poi borghese, di coltivare un’acetaia familiare in cui invecchiare il mosto cotto di uve locali.

Il prodotto finale si ottiene grazie a lunghissimo invecchiamento in una batteria di botticelle di legni differenti a grandezza scalare, con travasi annuali e periodici rabbocchi. Il risultato di tanta paziente sapienza è un liquido sciropposo, bruno scuro, dal profumo penetrante e dall’inimitabile gusto agrodolce, che nulla se non il nome ha in comune con il normale aceto di vino. L’aceto balsamico tradizionale viene venduto, a un prezzo adeguato alla sua preziosità, in bottigliette da 100 cc marchiate da di­versi colori (aragosta, argento e oro, in ordine di invecchiamento). Solo con venticinque anni di botte, il balsamico può definirsi “stravecchio” a termine di legge. L’utilizzo di un prodotto così peculiare va, naturalmente, ben meditato e ben dosato. L’aceto balsamico è di natura eclettico. Si sposa a raffinate insalate, ma impreziosisce anche un lesso o una scaglia di Parmigiano-Reggiano.  Si può berne un cucchiaino come elisir ometterne qualche goccia sul gelato. Bisogna assolutamente evitare di confonderlo con il normale “aceto balsamico” venduto a poco prezzo nei supermercati. La differenza, piccola ma fondamentale, sta tutta nell’aggettivo “tradizionale” che con­traddistingue un prodotto assolutamente unico al mondo. (reggioemiliaturismo)

ERBAZZONE

[[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.10389662:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.10389662:1649471519/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]

L’Erbazzone o Scarpazzone (in dialetto scarpazoun), è una torta salata la cui ricetta è una tipica specialità gastronomica reggiana. E’ composto da un fondo di pasta non lievitata, riempito da un impasto di bietole, cipolla, aglio, lardo, prezzemolo e parmigiano reggiano, che viene poi chiuso con un altro strato di pasta, punzecchiato dai rebbi di una forchetta, cosparso di lardelli e cotto in forno. (Tabula Regia)

CAPPELLETTO REGGIANO

[[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.10389657:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.10389657:1649471520/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]

Pasta farcita con un ripieno di carne. La dimensione del cappelletto è di 2-3 cm. Il ripieno è tradizionalmente composto di stracotto di manzo macinato e unito ad abbondante Parmigiano-Reggiano stravecchio, anche se con il passare degli anni questa farcitura è stata arricchita da altri tipi di carne. Dopo aver tirato la pasta sfoglia, a base di farina di grano tenero e uova, si taglia la pasta in piccoli quadretti. Il ripieno viene posto su ogni singolo quadratino. Il quadratino così riempito viene piegato a triangolo e poi girato intorno ad un dito per chiuderlo e dare la classica forma a "cappello". (Tabula Regia)

Sono il piatto più rappresentativo della cucina reggiana. Il piatto tipico della festa anche se oggi, con la possibilità di acquistare anche al supermercato buoni cappelletti artigianali, ognuno può farsi la festa quando vuole.

Il nome cappelletto si ritrova anche in Romagna (dove però l'impasto è completamente diverso) e nel carpigiano, mentre il "fratello" più vicino del cappelletto reggiano, cioè quello modenese e bolognese, ha preso il nome ben noto di tortellino. Tra cappelletto e tortellino in verità ci sono delle differenze, ma anche all'interno della provincia reggiana le varietà del ripieno sono numerose: ogni brava padrona di casa aveva la sua ricetta tramandata in famiglia (tra le varianti, la mortadella al posto del prosciutto o il vitello anzichè il maiale). Anche le dimensioni variano: tradizionalmente il cappelletto montanaro è un po' più piccolo.

La tradizionale cottura è nel brodo di carne, che deve essere di qualità. Qualche raffinato consiglia di servire i cappelletti non nel brodo di cottura, che inevitabilmente si intorpida un poco, ma in un brodo vergine e limpido lasciato apposta per imbandire il piatto servito in tavola. Riguardo al formaggio, la scelta consigliata è di non spolverarlo sul piatto, in quanto ce n'è abbastanza nel ripieno.

Una curiosa abitudine, ormai rara, è quella di allungare il brodo dei cappelletti, serviti in  tazza, con un buon lambrusco rosso (in dialetto bevr in vein).

Ricetta

 Ripieno per 4 persone: 300 g di Parmigiano-Reggiano, 200 g di polpa di maiale, 200 g di prosciutto crudo, 100 g di petto di gallina, 50 g di burro, 1 uovo, sale, pepe e noce moscata. 

Procedimento: Cuocete per 15 minuti la carne di maiale e il pollo finemente tritati e amalgamati col burro. Poi aggiungere il prosciutto, lasciando cuocere ancora per qualche minuto. A impasto freddo, incorporate formaggio e uovo, mescolando fino a ottenere un impasto morbido. Aggiungete sale e noce moscata nelle giusta misura e pepe se piace. (reggioemiliaturismo)

TORTELLI REGGIANI VERDI E DI ZUCCA

[[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.10389658:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.10389658:1649471520/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]

Primo piatto costituito da rettangoli di pasta sfoglia ripieni di un impasto di bietole e talvolta spinaci e/o ricotta del quale esistono numerose varianti, conditi solitamente con burro e salvia o con soffritto. Il ripieno può essere costituito da un impasto di zucca, con o senza amaretti, ma sono diffuse anche varianti che prevedono il ripieno di patate. Sempre presente in quantità significativa il Parmigiano-Reggiano (Tabula Regia)

Assai diffusi sono i tortelli: di zucca, che fanno un singolare contrasto di dolce-salato se serviti con il tradizionale battuto di lardo soffritto, diffusi soprattutto in pianura; verdi, con ripieno di bietole e spinaci (spostandoci verso il parmi­giano compare anche la ricotta); di patate, delicata va­riante montanara servita con sugo di carne. Il tortello si presta a elaborazioni creative che vanno rispettate: ai radicchi, agli asparagi, alle ortiche (nell’elenco dei prodotti tradizionali compaiono anche tortelli di mele, di ricotta, di verza).

I tortelli di zucca, schiettamente popolari

I tortelli di zucca per gran parte della provincia di Reggio Emilia (soprattutto per la zona di pianura) hanno rappresentato per secoli il piatto della festa per i contadini, anche i più poveri, a differenza del cappelletto che è un cibo riconducibile in origine piuttosto a una cucina padronale.

La zucca era diffusa ovunque (e costava poco), non solo nel territorio reggiano ma in una vasta area dove il tortello di zucca è ancora - con le sue varianti locali - un piatto apprezzato e popolare, per esempio nel Mantovano. E' giusto avvertire che il gusto dolce del tortello di zucca, effettivamente insolito, può non piacere a tutti.

La tradizione del tortello verde

Le erbe, pane, latte, uova e poco altro. Le famiglie contadine per i loro pasti dovettero fare ampio affidamento nei secoli alle produzioni dell’orto e degli animali della bassa corte. E’ per questo che un piatto per le feste, come i tortelli, ebbero tra i loro primi ingredienti le erbette, cioè le bietole, ma anche gli spinaci e altre verdure.

Oggi la creatività dei tortelli può spaziare anche ben oltre, dalla zucca all’ortica, dagli asparagi alle noci locali, dal fagiolo al tartufo e al pesto genovese, insieme al Parmigiano Reggiano, ovviamente.

Non sempre nei tortelli reggiani è presente la ricotta, immancabile e abbondante invece nei tortelli tradizionali della provincia di Parma.

Il tortello di patate

[[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.10389661:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.10389661:1649471519/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]

150 anni per conquistare l’Appennino. E’ la splendida storia dei tortelli di patate che in montagna affiancano i tortelli verdi come primo piatto tipico della ristorazione (e delle sagre paesane). Il tortello di patate è tutt’oggi ben rappresentato nel crinale, dove nel secolo scorso le coltivazioni principali erano, dopo i pascoli, castagneti e patate.

In montagna l’impulso alla coltivazione di questo tubero delle Americhe, sino ad allora considerata una curiosità botanica, la diedero le carestie del 1815 e del 1818 e la sensibilità di alcuni curati che per primi le coltivarono nei loro orti. In quell'epoca il grande agronomo Filippo Re segnalava a Busana, Collagna e Nigone di Ramiseto le principali coltivazioni, con l'auspicio "Dio voglia che si moltiplichino".

L’Alto Appennino divenne ben presto famoso per la coltivazione delle patate, tanto che dalla Garfagnana, attraverso la porta del passo di Pradarena, le genti e i mercanti salivano a comprare questi preziosi tuberi e, magari, assaggiare l’infinità di prodotti che si moltiplicavano in cucina, sulla scorta dell’impiego di castagne e patate. (reggioemiliaturismo)

Materie prime: Sfoglia, ripieno di patate, parmigiano reggiano, burro-lardo, panna

Tecnica di produzione: Lessare e pelare le patate in acqua salata e schiacciarle come per una purea. A parte preparare un soffritto con aglio, prezzemolo, lardo burro. Passare le patate in questo trito e lasciare insaporire. Fuori dal fuoco aggiungere la noce moscata, il parmigiano grattugiato, le uova intere una alla volta e non prima di aver assorbito la precedente e una o due cucchiaiate di panna da cucina. preparare la sfoglia nel modo classico sulla quale disporrete delle noci di composto e richiudere come per un qualunque tipo di tortelli. Cuocere in abbondante acqua salata e condire con burro, parmigiano o pomodoro o sugo di carne. (Elenco…)

BUSECCA - TRIPPA ALLA REGGIANA

La trippa, comunemente detta, non è altro che l'apparato digerente o stomaco del bovino e si compone del:

RUMINE: è composto da un grande sacco che rappresenta circa l'80% di tutto lo stomaco e viene chiamato anche trippa, croce, crocetta, pancia, trippa liscia o busecca.

RETICOLO: è composto da un piccolo sacco collegato al rumine ed ha un aspetto spugnoso con piccole creste a forma di "cellette esagonali" e viene chiamato anche cuffia, nido d'ape, bonetto o beretta.

OMASO: rappresenta il terzo e ultimo dei prestomaci ed è formato da un sacco con tante lamelle ed è meglio conosciuto come foiolo, centopelli, libro o millefogli.

ABOMASO: è lo stomaco vero e proprio ed è meglio conosciuto come frasame, lampredotto, riccia, riccioletta, frangiata o spannocchia.

Tecniche di produzione: risciacquare ripetutamente la trippa in acqua corrente poi tagliarla a striscioline larghe circa un centimetro. Tritare la pancetta con una cipolla di media grandezza e uno spicchio di aglio; mettere il trito in una casseruola, unire il burro e soffriggere bene, poi aggiungere la trippa, una cucchiaiata di salsa di pomodoro, sale, pepe, spezie e tanta acqua quanto basta per coprire la trippa. Farla bollire. Spolverarla con abbondante parmigiano reggiano.

Nella storia, la trippa ha sempre rappresentato un alimento completo e gustoso, tant'è che si hanno notizie che già gli antichi greci consumavano la trippa arrostita sulle braci, mentre i romani preparano le "salcicce di trippa". Una caratteristica tipica della ricetta reggiana prevede l’aggiunta del pomodoro ed un’abbondante spolverata di formaggio parmigiano reggiano a piacere il prezzemolo.

CAZZAGAI

[[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.10389659:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.10389659:1649471520/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]

Tipologia del prodotto.  I "cazzagai" sono polenta con aggiunta di fagioli. Consistono in polenta pastosa, poco densa, molliccia cui vengono frammischiati i fagioli cotti in umido. Il giorno dopo la parte avanzata viene tagliata a pezzi e fritta.

Nome del prodotto

Italiano: Polenta pasticciata coi fagioli – polenta e fagioli

Dialetto: Cazzagài, calzagàtt, paparucci, cassambragli (a Castelnovo ne’ Monti)

Zona di Produzione è da considerarsi la montagna reggiana

Tecniche di produzione: Tenere a mollo i fagioli in acqua per una notte; scolarli, coprirli con abbondante acqua fredda e lessarli.  Preparare un battuto con il lardo e la cipolla tritati e farlo soffriggere con il burro in un tegame di terracotta. Unire al battuto il pomodoro, salare e cuocere per una decina di minuti.  Scolare i fagioli con il mestolo forato e versarli nel tegame; aggiungere anche un mestolo dell’acqua in cui sono stati lessati e cuocere il tutto lentamente per mezz’ora. Con la farina gialla preparare una polenta a 2/3 circa della cottura mescolarvi i fagioli con il loro sugo.

La parte che avanza viene tagliata, il giorno dopo, in rettangoli di circa cm. 5x 10 dello spessore di 2 centimetri: i pezzi si friggono in padella nello strutto bollente, e a fuoco lento, rosolandoli sino a quando non abbiano fatto una bella crosticina. I “cazzagài fritti” si servono ben caldi. (Elenco…)

Per chi vuole saperne di più

Una bibliografia essenziale: i testi “sacri” della cucina reggiana (ce ne sono tantissimi, anche in questo caso sono indicati quelli utilizzati per le pubblicazioni citate sopra).

Gosetti della Salda Anna, Le ricette regionali italiane. Milano, La cucina italiana, 1967.

Maioli G. I racconti della tavola a Reggio Emilia. Bologna, Ges, 1980.

Iori Galluzzi M.A. – Iori N. Breve manuale del mangiar reggiano. Reggio Emilia, N. Iori, 1985.

Libro contenente la maniera di cucinare e vari segreti e rimedi per malattie e altro. Libro di casa di una famiglia reggiana del Settecento, a cura di G. Bizzarri, E. Bronzoni, Ancona, Il lavoro editoriale, 1986.

Ferrari M. Ricette e racconti della mia Reggio, Cadelbosco di Sopra, Conad Emilia ovest, 1993.

Elaborazione testi a cura di CIA Confederazione Italiana Agricoltori di Reggio Emilia

Il materiale fotografico proviene dall’Archivio fotografico della Provincia di Reggio Emilia