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Mariella: "Sì, ricomincio, ma le ferite rimangono"

di Chiara Cabassa
Mariella: "Sì, ricomincio, ma le ferite rimangono"

Intervista alla stilista che presenta a Milano la sua prima collezione firmata Arduini. "E' stata la mia famiglia a insistere... Una decisione che dovevo prendere prima"

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«Ho fatto male a non prenderla prima questa decisione. E’ difficile ricominciare. E la paura è quella della prima volta». La decisione è quella di tornare in passerella con una nuova collezione. A parlarne è lei, Mariella Arduini Burani, “una grande ambasciatrice dello stile italiano nel mondo”, come la definì il grande fotografo di moda Peter Lindbergh. Dopo anni di silenzio, alle spalle (in realtà indelebili in fondo al cuore) le vicissitudini del Mariella Burani Fashion Group che hanno portato alla cessione del marchio Mariella Burani, la stilista di Cavriago torna a creare. E a sfilare. Oggi pomeriggio, alle 17, allo spazio Pepoli di via Tortona a Milano, presenterà la sua prima collezione firmata Mariella Arduini.

Mariella, quando ha iniziato a pensare che una “seconda vita” era possibile?
«In realtà, pur essendo una scelta mia, sono stati i miei figli e mio marito a insistere perché ricominciassi. Soprattutto mio figlio Giovanni, un grande lavoratore, ha insistito parecchio. Capiva che non stavo bene, ero depressa, sempre chiusa in casa, mi vedeva sul divano a sfogliare riviste di moda... e ci stava male».

Già. Da un giorno all’altro ha dovuto abbandonare un lavoro che era la sua vita... E affrontare momenti a dir poco difficili. Come sono stati questi anni?
«Duri. Uscivo pochissimo di casa. E quando lo facevo non mi sentivo a mio agio. Ho letto tanto, questo sì. Continuando a coltivare la mia passione per la moda, un amore incondizionato. Ho passato molto tempo alla libreria all’Arco, ecco forse l’unico posto dove mi sentivo a casa. E ho anche scritto un libro... Autobiografico».

Lo pubblicherà?
«No... sicuramente non ora. Prima dovrà finire tutto. Ma ho sentito il bisogno di mettere nero su bianco le mie emozioni. A partire dai tanti momenti felici che hanno accompagnato il mio percorso professionale, le soddisfazioni, gli incontri, i sogni realizzati. Per arrivare ai momenti bui, quelli più tristi e dolorosi. Che ti cambiano. Anche questo, analizzare il cambiamento, forse mi ha aiutato. Quando ho cominciato a uscire di casa, a guardarmi intorno, ho capito che era giusto ricominciare».

Perché proprio ora? Cosa è scattato?
«A parte l’insistenza della mia famiglia, è anche vero che le proposte di collaborazione che ho avuto in questi anni sono state molte, ma credo che lo stile con cui mi identifico possa essere rappresentato e proposto da un unico nome, il mio».

Non più Mariella Burani ma Mariella Arduini...
«Certo. E non voglio più leggere cose della serie “Mariella ha cambiato cognome”. Non sono un pentito di mafia, e Arduini è il mio cognome. Il mio vero cognome. Tutto qui».

Quindi ha scelto di rimettersi in gioco quando ha avuto la garanzia che avrebbe potuto esprimere il suo stile. Senza condizionamenti.
«Lo stile e la creatività sono i miei. E non potrebbe essere altrimenti. E’ anche vero che devo adattarmi alle esigenze delle persone con cui lavoro. Ma a differenza di contatti avuti in precedenza, quando ho incontrato i vertici dell’azienda bresciana Pango ci siamo subito capiti e anche accettati».

Ed è partita la nuova avventura. Oggi come si sente?
«La collaborazione è partita subito e abbiamo marciato a tappe forzate. Devo dire che ho trovato bravissime modelliste e altrettanto brave cucitrici, questo era fondamentale. Alle prime prove ho capito che si poteva fare. Se avessi trovato dei problemi, non avrei azzardato tanto. Anche perché allontanarmi da casa, e non da ora, per me rappresenta una sorta di trauma. Dopo ogni sfilata a Milano, durante le settimane della moda, sono sempre tornata a casa perché la mondanità non mi è piaciuta. E anche adesso, quando devo stare fuori per lavoro tutta la giornata, alla sera torno nella mia casa, a Cavriago. Eppure abbiamo lavorato sodo, la collezione è stata preparata in due mesi. E due mesi sono davvero pochi».

Questa sarà la sua ennesima sfilata. Eppure la sfida non è da poco.
«Infatti sono emozionata e impaurita come lo sono stata prima di ogni sfilata. Non ci si abitua a certe prove. Anche se ho un’azienda alle spalle, il prodotto l’ho fatto io, e la responsabilità e mia. Se non dovesse piacere?».

Tante conferme avute in passato non la rendono più sicura di sè?
«Assolutamente no. E poi ciò che è intorno a me è cambiato. Io sono cambiata. La mia moda è cambiata. Certo, lo stile è il mio, ma parole come “lusso” non mi appartengono più. Sono diventata molto essenziale. Ruche, pizzi, passamanerie sono quasi scomparsi. Quella che presenterò domani (oggi ndr) è una collezione di sostanza, essenziale, che concede poco o nulla all’apparenza. Una collezione che si rivolge a quella fascia media a cui non pensa nessuno. Perché il mercato e cambiato e ora serve proporre un prodotto di qualità, cento per cento made in Italy, ma allo stesso tempo accessibile, non di nicchia».

Ora che la “seconda vita” è iniziata, che effetto le fa pensare a quell’azienda che non c’è più?
«Ci sono ferite che non si possono rimarginare. E ricordi che mi resteranno dentro per sempre. Qualsiasi cosa possa accadere. E’ stato troppo doloroso. L’azienda è stata tutto per me. La mia vita, la mia casa, il mio mondo. Lì c’erano tutte le persone a cui volevo bene».