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Tsunami 'ndrangheta su Reggio Emilia "epicentro della metastasi"

Elisa Pederzoli
Tsunami 'ndrangheta su Reggio Emilia "epicentro della metastasi"

Le cosche imprenditrici, i loro perversi intrecci con la politica, l'imprenditoria e l'informazione: radiografia di un'inchiesta che cambia la lotta antimafia in Emilia
Leggi: Il nostro speciale sull'Operazione Aemilia - Dossier: Tutti i video - Foto Centinaia di carabinieri mobilitati 

28 gennaio 2015
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REGGIO EMILIA. Centodiciassette ordinanze di custodia cautelare, 54 per associazione di stampo mafioso, 4 per concorso esterno con oltre 200 indagati. E i nomi sono eccellenti, a partire dall’avvocato e consigliere comunale di Forza Italia, Giuseppe Pagliani. E’ quello che fa più rumore, ma non è il solo: c’è ancora il giornalista Marco Gibertini e una lunga lista di imprenditori di origine cutrese come i fratelli Sarcone e il padre dell’ex calciatore azzurro, Giuseppe Iaquinta.

Infografica: cifre e volti, la conferenza stampa di Bologna

Non si può dire che sia un fulmine a ciel sereno l’operazione “Aemilia” della Dda di Bologna scattata ieri prima dell’alba tra Reggio, Modena, Parma, Piacenza, Bologna, che ha portato al sequestro di 100 milioni di euro. Mentre in contemporanea anche due operazioni di Catanzaro e Brescia riconducono all’Emilia. Ma è uno squarcio senza appello su una realtà da tempo denunciata e che ora mostra il suo volto: che la ’ndrangheta dal lontano ’82, quando il boss Antonino Dragone venne mandato qui al confino, si è insediata, radicata e sviluppata. Trasformandosi in una «mafia imprenditrice». Con Reggio capoluogo

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IL BLITZ. Sono le 3.30 di ieri mattina quando scatta l’ora x e nelle cittadine ancora spente dell’Emilia si riversano centinaia di carabinieri e personale della Dda di Bologna, in forze anche con l’elicottero.

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Blitz in piena regola, che toccano anche Reggio da un capo all’altro della provincia per quella che – otto ore più tardi durante un’affollata conferenza stampa negli uffici della procura generale di Bologna – il procuratore capo nazionale antimafia Franco Roberti, arrivato per l’occasione dalla capitale, non esiterà a definire «una iniziativa storica, senza precedenti» nel contrasto alle mafie al nord.

Dopo anni di relazioni, denunce, proclami e prese di distanza, la ’ndrangheta emiliana ha un volto: resta sì una propaggine della locale di riferimento, che è quella di Cutro, ma è autonoma e ben strutturata. E resta guidata e diretta ancora da Nicolino Grande Aracri, nonostante sia da tempo ristretto in carcere e per il quale è stato ordinato un nuovo arresto.

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CAPI E ORGANIZZATORI. Gli uomini dell’Arma bussano alla porta delle figure di riferimento della cosca emiliano-calabrese. E i nomi non sono certo nuovi alla cronaca. Gli investigatori – nell’inchiesta coordinata dal procuratore capo della Dda Roberto Alfonso a cui hanno lavorato da fine 2010 Marco Mescolini e Roberto Pennisi – hanno identificato sei capi promotori, a cui fa riferimento una specifica zona.

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Sono Nicolino Sarcone, 49 anni, residente a Bibbiano - già colpito lo scorso mese di settembre assieme ai fratelli da un sequestro preventivo di beni da oltre 5 milioni di euro su iniziativa dei carabinieri e ancora della Dda – a cui compete la zona di Reggio; Michele Bolognino, 48 anni, “competente” per Parma e la Bassa reggiana; Alfonso Diletto – per il quale la procura di Reggio aveva già chiesto la sorveglianza speciale, ora inviata per competenza alla procura antimafia – capo promotore della Bassa reggiana; Francesco Lamanna “titolare” su Piacenza, Antonio Gualtieri su Piacenza e Reggio e Romolo Villirillo su tutte le zone e per il loro collegamento. Ma la Dda ha individuato altre figure “cardine”, in raccordo operativo fra i capi: sono Giuseppe Giglio e Salvatore Cappa legati a Bolognino; e sono Gaetano Blasco e Antonio Valerio direttamente con Nicolino Sarcone. Per tutti, è scattata l’ordinanza di custodia in carcere.

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GLI AFFILIATI. Questa la struttura più “tradizionale” dell’associazione. Ma gli affiliati finiti nel registro degli indagati sono 68, per 56 dei quali la Dda ha chiesto la misura del carcere. Ci sono Antonio Silipo, Agostino Donato Clausi, Karima Baachaoui, Moncef Baacahoui, Eugenio Sergio, Carmine Belfiore, Gianni Floro Vito, Sergio Bolognino, Vincenzo Mancuso, Salvatore Gerace, Luigi Serio, Francesco Lomonaco, Giulio Giglio, Giuseppe Pallone, Roberto Turrà, Gianluigi Sarcone, Palmo Vertinelli Mario Vulcano, Pasquale Riillo, Francesco Gullà, Salvatore Lerose, Francesco Frontera, Antonio Muto (classe 1971), Graziano Schirone, Selvino Floro Vito, Richichi Giuseppe, Pasquale Battaglia, Pasquale Brescia, Maurizio Cavedo, Michele Colacino, Antonio Crivaro, Antonio Floro Vito, Giuseppe Iaquinta, Franceso Lepera, Alfonso Martino, Domenico Mesiano, Antonio Muto (classe 1955), Salvatore Muto, Alfonso Paolini, Pierino Vetere, Rosario Vetere, Francesco Amato, Alfredo Amato, Gabriele Valerioti, Antonio Muto (classe 1978).

Una lunga lista di nomi – molti residenti nel Reggiano – dai quali non può non spiccare quello dell’imprenditore edile Giuseppe Iaquinta di Reggiolo, anche lui arrestato: il padre dell’ex calciatore azzurro Vincenzo, era già finito nell’occhio del ciclone per le interdittive firmate dall’ex prefetto di Reggio Antonella De Miro, che denunciava le sue frequentazioni. Quello dei fratelli Gianluigi e Nicolino Sarcone. E di Palmo Vertinelli colpito pochi giorni fa da un sequestro di beni da 10 milioni di euro nell’ambito di un’inchiesta della Guarda di finanza coordinata dalla procura di Reggio. Ma quando i carabinieri ieri notte lo sono andati a cercare a casa non lo hanno trovato.

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LA CENA DI GAIDA. Così come è noto il nome di Pasquale Brescia: è il titolare del locale di Gaida “Antichi sapori”, finito al centro della cronaca per aver ospitato la cena nel marzo 2013 di imprenditori edili cutresi “preoccupati” dalla serie di interdittive antimafia emesse dall’ex prefetto di Reggio De Miro. In quell’occasione, erano presenti tra gli altri anche Nicolino Sarcone e i fratelli. Un appuntamento che non passò inosservato agli occhi dei carabinieri dell’Arma di Reggio, che già stavano collaborando all’importante operazione odierna e dal quale scaturirono provvedimenti interdittivi.

Editoriale: Reggio Emilia, le cosche e la Zona grigia

IL POLITICO. A quella cena era presente anche Giuseppe Pagliani, avvocato di Arceto di Scandiano e allora capogruppo del Pdl in consiglio provinciale nonché vice coordinatore vicario proviciale del partito (oggi è consigliere a Reggio per Forza Italia). Ieri nel cuore della notte, i carabinieri hanno bussato anche alla sua porta per arrestarlo. Ed è la notizia che più, forse, sciocca Reggio.

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Per lui si parla di concorso esterno in associazione mafiosa: per chi indaga metteva il suo ruolo politico a servizio della strategia pubblica dell’associazione. In cambio ovviamente di voti. E quella cena che tante polemiche sollevò, come ha sottolineato in conferenza stampa il procuratore della Dna Roberti, «è il simbolo della mafia in Emilia».

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Ma non è il solo politico a essere finito nei guai. C’è anche l’ex presidente del consiglio comunale di Parma, Giovanni Paolo Bernini. Anche lui indagato per concorso esterno. E sotto la lente ci sono anche alcune tornate elettorali emiliane per i quali il procuratore Alfonso ha parlato espressamente di «segnali di inquinamento»: per il Reggiano, sono quelle di Bibbiano e Brescello del 2009, nonché di Campegine nel 2012. Parole pesanti come macigni e dalla lunga eco. Che rivelano come la politica e l’imprenditoria, in terra d’Emilia, siano spesso finite al servizio della cellula cutrese.

E’ il procuratore Alfonso a spiegare così l’inserimento di questi nomi della lista degli indagati in un’inchiesta che mira allo smantellamento dell’associazione malavitosa d’esportazione. «L’attività criminale ha fatto uno sforzo di interpretazione rispetto a quello utilizzato al sud – ha dichiarato – ha rimodellato le forme di espressione in funzione della diversità del territorio».

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In quest’ottica va letto anche l’arresto di Marco Gibertini, il giornalista già finito dietro le sbarre nell’ambito dell’operazione “Octopus” la scorsa estate. Anche per lui l’accusa è di associazione esterna: secondo gli investigatori metteva a disposizione del sodalizio criminale (in particolare di Antonio Silipo e Nicolino Sarcone) le sue conoscenze politiche, imprenditoriali, nel mondo della stampa.

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IL POLIZIOTTO. Ma l’associazione ’ndranghetista, era arrivata anche a esponenti delle forze dell’ordine. Che, ha spiegato Alfonso, «purtroppo hanno favorito l’organizzazione». L’arresto più clamoroso è quello del poliziotto Domenico Mesiano, 42enne originario di Catanzaro: a lungo autista dell’ex questore di Reggio Domenico Savi e trasferito per incompatbilità dall’attuale questore, Isabella Fusiello. E’ accusato anche per le minacce alla giornalista del Carlino e dell’Ansa, Sabrina Pignedoli. Poi ci sono le figure anche degli ex carabinieri Mario Cannizzo (per estorsione), Domenico Salpietro (che operava nel Radiomobile di Reggio).
Nomi, cognomi, ritratti. Pezzi di puzzle che Reggio forse non riusciva a vedere, ma che ora con tutte le cautele dovute a un iter giudiziario che dovrà fare il suo corso – si impongono e riassemblano.

Open data - Dossier mafie in Emilia

«Con questa indagine si è avuta la conferma che nella parte occidentale dell’Emilia opera da oltre un ventennio una cellula ’ndranghetista di derivazione cutrese – ha detto Alfonso, citando l’ordinanza del gip Alberto Ziroldi – Ha assunto forme che richiedono uno sforzo di interpretazione e analisi diverso, se non nuovo, rispetto ai paralleli contesti in Piemonte e Lombardia, per il volto e il contenuto prettamente imprenditoriale».

«Una metastasi – ha ribadito icasticamente il procuratore della Dda – nel corpo sano di quella parte d’Emilia che da Reggio, passando per Parma e Piacenza, giunge alla riva lombarda del Po». Con la nostra città del Tricolore suo epicentro.

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Le reazioni delle istituzioni

Una ferita ma anche un eccellente risultato sul fronte della prevenzione e repressione. Così Luca Vecchi, sindaco di Reggio Emilia, commenta l’imponente operazione antimafia condotta dalle forze dell’ordine e dalla procura. «La città si sveglia scossa da una vicenda come questa, che ha una rilevanza senza precedenti. Ma questa è anche una vittoria di un sistema istituzionale che in questi anni ha preso coscienza e reagito, sia sul fronte della prevenzione sia su quello della repressione. Speriamo che sia un colpo al cuore a un sistema mafioso che sapevamo essersi insediato ma ancora non conoscevamo nella sua portata».

Vecchi ringrazia le forze dell’ordine: «E’ una pagina importante per lo Stato. Gli anni della sottovalutazione del problema, dell’incapacità nel saper leggere certe dinamiche, sono dietro di noi. Come ha detto il dottor Alfonso, il risultato è stato colto grazie al lavoro di anni. Fanno parte di questa strategia l’opera di prevenzione istituzionale, le interdittive, le confische e l’azione repressiva degli arresti».

E la lotta non si ferma certo qui: «Bisogna proseguire, con la schiena dritta, sapendo di avere davanti un mostro dalle molte teste, al quale non basta tagliarne una per neutralizzare il sistema. Pur tuttavia – conclude Vecchi – la vastità di questo blitz ci fa essere fiduciosi che la cosca che operava possa essere stata disarticolata».

Il presidente della Provincia, Giammaria Manghi, commenta: «Questa operazione è una conferma clamorosa di ciò che negli ultimi anni, dalle prime interdittive emesse dalla prefettura di Reggio Emilia in poi, è emerso anche nel nostro territorio. I magistrati avevano denunciato un centro di infiltrazioni relativo alle terre emiliane che, in queste ore, si concretizza drammaticamente nella portata e nella gravità. Sono confortato dal fatto che le istituzioni si rivelino all’altezza di una sfida delicata e complessa. Ma non posso che essere fortemente preoccupato nel constatare come la nostra comunità e la nostra provincia siano sedi di organizzazioni criminali che rubano ossigeno all’economia degli onesti, inquinano la nostra società e tentano di incunearsi nelle istituzioni».

RETTIFICA - Sulla Gazzetta di Reggio di giovedì 29 gennaio è stata pubblicata un infografica comprendente un elenco di nominativi sotto la voce "arrestati". Si precisa che l'elenco fa invece riferimento a una lista di indagati, solo alcuni dei quali sono stati sottoposti a misura restrittiva. Ce ne scusiamo con i lettori e gli interessati.

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