A Reggio Emilia la cassaforte delle ’ndrine calabresi
Occhi puntati su 2.400 ditte calabresi edili cresciute con la speculazione. Imposte evase per milioni e ditte coperte da prestanome e professionisti
REGGIO EMILIA. «Giglio, Muto, i Vertinelli e Floro Vito? Tutte persone che conoscevo, che abitavano vicino a me in Calabria, camminavano con camion con dei buchi di fianco, marci. Qui hanno fatto un salto di qualità, io ci sono rimasto quando li ho rivisti. Qui hanno trovato l’America!».
Quella descritta dal collaboratore di giustizia Angelo Salvatore Cortese durante un interrogatorio è la trasfigurazione economica e sociale di piccoli imprenditori calabresi che hanno fatto fortuna una volta giunta a Reggio Emilia e dintorni, dove hanno accresciuto il loro potere economico generando in alcuni casi soldi pronto cassa per i clan ai quali sono indissolubilmente legati.
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L’entità della ricchezza accumulata non è certa ma nella cassaforte del sodalizio criminale sono confluiti negli anni centinaia di milioni. Nella sola operazione “Aemilia” di due giorni fa, che ha portato all’arresto di 160 persone e a oltre 200 indagati, sono stati sequestrati 205 immobili, 70 società, 137 mezzi da lavoro, 65 terreni e 15 auto di lusso. Valore 100 milioni di euro, distribuiti principalmente tra la via Emilia e la Calabria.
Se si aggiungono a questi i sequestri preventivi da 3 milioni nei confronti di Francesco Grande Aracri (novembre del 2013) e quello da 5 milioni dei fratelli Sarcone (settembre del 2014) la cifra relativa al business su Reggio cresce. Perché, come dice il giornalista reggiano Marco Gibertini in un’intercettazione - factotum degli affiliati alle cosche, finito in carcere - solo Nicolino Sarcone avrebbe messo un tetto sulla testa a 400 famiglie di Reggio Emilia costruendo altrettanti appartamenti.
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LA GENESI. Tutto parte dal boom edilizio iniziato negli anni Novanta ed esploso nel decennio successivo. Molti comuni avevano bilanci ballerini e la via più facile per puntellarli è stato fare cassa incamerando oneri di urbanizzazione. Una torta enorme, sulla quale si sono tuffate sia le cooperative edili sia i manovali calabresi, che ha portato al rigonfiamento di una vera e propria bolla speculativa scoppiata nel 2009.
Case, palazzi, scuole e strade, per costruire le quali sono nate migliaia di nuove imprese e partite Iva. La composizione della geografia imprenditoriale nel settore edile conta oltre 10mila imprese, di cui 2.400 sono ditte edili cutresi attive in provincia di Reggio: un numero e per certi versi emblematico alto dentro il quale ci sono alcune aziende finite al centro delle indagini.
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IL RADICAMENTO. Dopo trent’anni di affari, dicono le carte delle inchieste, si è passati dall’infiltrazione mafiosa nel tessuto economico al radicamento. «L'ho detto già alla Dda di Bologna - dice sempre Cortese in un interrogatorio - questi camminano sempre con soldi. Loro hanno sempre 100mila euro disponibili, ce li hanno sempre addosso, fanno anche fatture, fanno risultare che una ditta ha fatto lavori e si fregano anche l'Iva per scaricare».
Il progetto criminale vede al centro il riciclo del denaro, grandi disponibilità di liquidi con i quali vengono acquisiti appalti, rilevate in seguito a estorsioni o prestiti usurari ad aziende sane, che fanno poi da velo attraverso decine di prestanomi compresi nelle indagini e alcune fiduciarie. Passaggi societari e finanziari agevolati da un professionisti presenti sul territorio - geometri, commercialisti e avvocati compiacenti - sui quali si tenta ora di fare chiarezza.
ALTA FINANZA. Austria, Svizzera, Albania. Sono tante le strade che prendono i soldi accumulati con gli affari in Emilia. Decine di milioni in parte reinvestiti in loco, in parte custoditi nelle banche del territorio e in parte nascosti all’estero per evitare controlli e non versare le tasse al fisco italiano tramite evasioni milionarie.
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I SEQUESTRI. Nelle sola provincia reggiana sono state sequestrati in via preventiva alcune società - quasi tutte legate all’edilizia - tra le quali la Naturalmente srl di Campagnola Emilia finita in mano ad Antonio Valerio, che la rilevò, secondo le testimonianze, minacciando l’ex titolare, Roberto Ferrari, costretto a cedere il 95 % delle quote pari ad un valore di 9.500 euro. Valerio - considerato il braccio destro del capo bastone locale a Reggio, Nicolino Sarcone - disse a Ferrari che «l'azienda deve diventare mia con le buone o con le cattive».
Sigilli anche alle quote e ai conti correnti della la B&V Costruzioni di Bibbiano: a bilancio 2010 risultava a ricavi zero e gli investigatori individuano in Antonio Blasco il prestanome di Gaetano Blasco e di Valerio. Stessa dinamica per la Anpa Costruzioni di Bibbiano: 400 mila euro di ricavi nel 2011 e 20 mila euro di utili. Spuntano poi la Pilotta srl e la Re.Com srl di Reggio, la Its di Brescello e la Immobiliare BD di Montecchio.
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Non mancano anche i ristoranti e i circoli, come il Cartagena in via Brigata a Reggio (nel gennaio 2009 furono esplosi due spari contro la vetrina, l'11 giugno dell'anno successivo ci fu un’efferata rapina), il ristorante Antichi Sapori di via Newton (luogo dove si consumò la “cena dei sospetti” che portò alla luce il sodalizio tra il politico reggiano Giuseppe Pagliani e gli affiliati), e il Mille Fiori di Montecchio, punta di diamente delle proprietà di Palmo Vertinelli, che da solo ha subito un sequestro da 10 milioni di euro.
Agli indagati della maxi inchiesta sono stati tolti dalla disponibilità anche appartamenti e seconde case. A Gianni Floro Vito, domiciliato ad Arceto, sono stati sequestrati immobili per un valore di 110 mila euro. Più consistente il sequestro a Giuseppe Giglio, residente a Montecchio, una delle figure chiave dell’inchiesta e degli affari dei clan: per lui il sequestro vale oltre 300 mila euro.
Non mancano le auto di grossa cilindrata, da sempre marchio di fabbrica degli affiliati alle cosche sedimentate a Reggio. Nel decreto di sequestro è finita un’Audi A8, un suv Mercedes ML. Durante la “cena dei sospetti” gli investigatori registrarano un Range Rover in affitto a Cesare Muto, una Mercedes E intestata a Giuseppina Sarcone, una Bmw X6 intestata alla ditta di Giuseppe Iaquinta. Stili di vita, in molti casi, ritenuti superiori alla dichiarazione dei redditi.