«Mai visto, un’intervista ad un mafioso»
Claudio Fava, vice della Commissione antimafia: grave che la 'ndrangheta riesca a inquinare anche l’informazione
Leggi: Il nostro speciale sull'Operazione Aemilia - Dossier: Tutti i video - Foto Centinaia di carabinieri mobilitati - L'ascesa politica di Pagliani - Gli arresti eccellenti - Articoli: Leggi tutto - De Miro, prefetto di ferro
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REGGIO EMILIA. "Mi fa una certa impressione che ci sia voluta un'ordinanza con 117 misure cautelari, perché ci si accorgesse della pervasività della ’ndrangheta a Reggio Emilia".
Claudio Fava, vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, era venuto in città pochi mesi fa, ospite della libreria all'Arco dove aveva presentato il suo ultimo libro, e parlato diffusamente di Stato e antistato.
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Fava, il nostro titolo di prima pagina sull'Operazione Emilia - "L'epicentro della metastasi" era indubbiamente forte, ma riprendeva le parole degli stessi investigatori e confidava, per così dire, nel tardivo risveglio di una parte delle coscienze di questa terra…
Questa inchiesta è preoccupante, per ciò che svela. Innanzitutto, dimostra la capacità della mafia (uso questo termine generico anche se qui parliamo di ’ndrangheta) di farsi sistema, con una forza di penetrazione che non sembra conoscere ostacoli e che tira dentro tutti, dalle forze dell'ordine alla politica, dal giornalismo all'imprenditoria. Di fatto, il perimetro della società legale, che si sfrangia sotto l'assalto della ’ndrangheta e che assiste inerme al suo progressivo consolidamento profondo".
C'è chi per anni ha fatto spallucce…
Sì la seconda cosa che mi colpisce è che c'è stato bisogno di questo provvedimento, perché ce ne accorgessimo. Mentre i segnali c'erano, eccome. Solo che la reazione all'invadenza criminale aveva ricevuto in passato una serie di valutazioni al ribasso, non ultima quella ormai celebre del sindaco di Brescello. Il concetto del "dai, tutto sommato"… Tra ingenuità e reticenza, sembra esserci tutta una società - più o meno attrezzata - che assiste distratta alla progressiva invadenza di questa cultura criminale. Ma c'è un fatto in particolare che mi ha colpito, ed è la pervasività nel mondo dell'informazione".
A questo, non eravamo ancora abituati?
Guardi, io non ho memoria di interviste di quattro o cinque cartelle a un ex galeotto, notoriamente affiliato a una cosca e appena condannato per gravi reati, intervistato sul maggior giornale della regione (il resto del Carlino, ndr). Per quanto possa essersi trattato di un'intervista rigorosa, mi sfugge del tutto il senso di questa operazione. Se in Sicilia avessimo intervistato i mafiosi o i loro amici… Stupisce che tutto ciò sia potuto accadere, con una specie di addetto alle pubbliche relazioni della cosca (il riferimento è a Marco Gibertini, ndr) che si fa tramite per avviare campagne di stampa contro una prefettura troppo rigorosa. E' così che si costruisce una proiezione strategica per entrare anche in quel mondo. E come Commissione antimafia ce ne occuperemo.
In che termini?
Noi stiamo terminando il nostro lavoro, presenteremo la relazione finale a febbraio e di certo inseriremo anche la documentazione relativa a questa storia. Anche perché non è un caso isolato, e racconta di un contesto che si ripete anche altrove e che riguarda le aree opache del giornalismo. Pensiamo ad un focus per acquisire ed elaborare anche questa vicenda, e marcare la differenza tra giornalisti minacciati e giornalisti asserviti, tra trincea e ripiego.
La famosa cena del marzo 2012 dimostra indirettamente che le interdittive fanno male, perché colpiscono gli interessi delle cosche nel portafoglio.
Quell'episodio fa capire tutta l'utilità dei prefetti e delle prefetture, quando interpretano con dovuto rigore e puntualità il loro ruolo. La serietà nell' applicazione delle regole e la cosiddetta interdizione istituzionale non sono affatto scontate dappertutto. A Catania, ad esempio, ci sono state aziende con prestanome o addirittura parenti di esponenti di Cosa Nostra che sono state iscritte nelle white list come se niente fosse. Ed è un segnale devastante, come dire che questo nostro Paese premia la furbizia e l'opacità.
E le interdittive, dunque?
Sono utilissime. Pensi a Milano, dove oltre 60 provvedimenti hanno bloccato l'assalto alla diligenza dell'Expo da parte della ’ndrangheta. Certo, serve un concerto di sguardi tra procura, prefettura, autorità anticorruzione… Un contesto che crei l'impermeabilità, in assenza della quale le conseguenze sono gravi.
All'esterno, rapporti con politica, imprenditoria e informazione. All'interno, la triade pizzo - usura - roghi. Un classico?
La ’ndrangheta ha bisogno di mescolare il suo pragmatismo spregiudicato e ipermoderno, che serve anche alla costruzione del consenso, con il controllo fisico del territorio: elemento ancestrale, ma necessario. Arrivi anche a pretendere la restituzione di un debito di 100 euro per un pizzo, senza alcuna eccezione, perché devi affermare la tua legittimità ad essere considerato padrone del territorio. Ecco, tenere insieme questi due aspetti è la sua forza.
Dopo l'Aquila, ancora ciniche risate sulle macerie di un terremoto.
Purtroppo, è la cartolina di questo Paese, e del sentimento di spregiudicatezza che ormai ne fa parte. Non conta la sofferenza degli altri, se diventa oggetto di business per pochi. E segnala quella assenza di tensione morale che ritroviamo uguale, nel mafioso e nell’imprenditore corrotto dell'Aquila che pensa solo al suo arricchimento.
In queste ore, a Reggio Emilia, tante pacche sulle spalle agli investigatori. Anche quelle di chi fino al giorno prima aveva sostenuto che la mafia, qui, non esiste. Una bruttissima sensazione…
E' l'assenza di memoria, la capacita di resettare la propria convenienza. Una caratteristica dolorosa ma reale del nostro paese, così come il tentativo di riproporsi con una ritrovata verginità.
E poi ci sono gli infedeli. Infiltrati delle cosche nel cuore delle forze dell'ordine: poliziotti e carabinieri marci.
Non esistono sono spazi d'impermeabilità assoluta. Serve un supplemento di attenzione, ma non stupisce perché è già accaduto altrove. Di sicuro, la qualità del lavoro fatto dai carabinieri e dalla Dda in questi anni, su questa inchiesta, riscatta pienamente la presenza di mele marce.
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