'Ndrangheta, la Dna conferma: "L'Emilia è ormai terra di mafia"
Duro il verdetto contenuto nella relazione dell'antimafia nazionale diffusa oggi. A Reggio Emilia l'epicentro della criminalità calabrese: "L'espansione della mafia è oltre ogni più pessimistica previsione"
REGGIO EMILIA L'indagine Aemilia della Dda di Bologna «ha consentito di accertare la esistenza di un potere criminale di matrice 'ndranghetista, la cui espansione si è appurato andare al di là di ogni pessimistica previsione, con coinvolgimenti di apparati politici, economici ed istituzionali». Così, una regione un tempo orgogliosamente indicata come modello di sana amministrazione e invidiata per l'elevato livello medio di vita dei suoi abitanti, oggi «può ben definirsi "Terra di mafia" nel senso pieno della espressione».
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È la fotografia della criminalità organizzata in Emilia-Romagna scattata dalla relazione annuale della Direzione annuale antimafia, nel capitolo riservato al distretto bolognese, curato dal consigliere Roberto Pennisi. L'operazione Aemilia, 117 misure di custodia cautelare contro un'organizzazione con epicentro a
Reggio Emilia, ritenuta legata alla Cosca Grande Aracri di Cutro, ha rivelato, per gli inquirenti, qualcosa di ancora più grave. Cioè che «tale realtà non si è creata come effetto di un "contagio" delle terre emiliane dovuto alla presenza della 'ndrangheta negli altri territori dell'Italia settentrionale», bensì per ragioni e in forza di dinamiche criminali proprie della regione: «Sicché in Emilia la 'Ndrangheta parla l'accento della zona di Crotone che si fonde con quello locale».
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Le misure di custodia cautelare sono, per Pennisi, un imponente intervento repressivo «specie se seguito da un sollecito accesso alle fasi successive del procedimento» e potranno «certamente servire a porre un freno alla drammaticità della situazione». Ma «non certo a risanare i danni cagionati al tessuto sociale dal contatto col sistema mafioso, per la cui guarigione, prevedibilmente lenta, sarà necessaria una massiccia terapia a base di legalità».
In regione, però, non c'è solo la 'Ndrangheta, osserva la relazione. Emerge infatti la presenza «in maniera sostanziosa di cellule di matrice camorristica, per come documentato da diversi procedimenti». Infine «non meno inquietanti sono le indagini in corso di svolgimento che riguardano (fenomeno, questo, alquanto raro nel panorama giudiziario italiano) la presenza nel territorio emiliano di persone provenienti dall'area della mafia siciliana». Tra i casi citati, indagini per riciclaggio nei confronti di personaggi legati a "Cosa Nostra" trapiantate a Bologna.
Una realtà variegata, dunque, il cui contrasto è in capo ai quattro magistrati in forza alla Dda, coordinati dal procuratore Roberto Alfonso. Un numero «esiguo» sottolinea Pennisi «specie se confrontato con il numero e la non indifferente complessità dei procedimenti che vengono trattati». A questo si aggiunga che «nonostante gli sforzi del capo dell'Ufficio, tra i componenti della Dda, seppur ciascuno dotato di elevata professionalità ed in condizioni di gestire al meglio ogni procedimento assegnatogli», non si coglie l'esistenza di «quell' 'idem sentirè ciceronianamente inteso, che costituisce la base per il perfetto funzionamento di una struttura di tal genere».