Metti un vitigno fai-da-te in centro storico a Reggio Emilia
Al quarto piano di via Mari 10, Tullio Masoni produce ogni anno 35 bottiglie di Sangiovese “narrante”
REGGIO EMILIA. Mentre Michelle Obama zappetta il suo orticello a ridosso della Casa Bianca, insegnando al mondo l’importanza di coltivare passioni sane e salutari, c’è chi, a Reggio, ha deciso di piantare delle viti su un tetto di via Mari 10, una laterale di via Dante, per rieducare le genti al rispetto e alla pace.
«Il vino è da sempre un punto di incontro – spiega Tullio Masoni, ideatore del primo vigneto urbano – e da sempre è un modo per smussare gli angoli e trovare concordia. Produrre del vino in città è un modo per riportare anche qui la quiete della campagna, per sviluppare i valori umani. Il mio “Via Mari 10”, dunque, è un vino estremo, eroico, un avamposto contro la barbarie cittadina».
E così eccolo qui, al quarto piano di un palazzo storico, con una vista mozzafiato su tegole e comignoli, un vigneto di Sangiovese in centro città.
[[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.10947196:Video:https://video.gelocal.it/gazzettadireggio/dossier/la-cucina-reggiana/tullio-masoni-e-il-suo-vigneto-urbano-in-centro-a-reggio-emilia/40612/40691]]
«Il mio vino non ha prezzo – racconta Masoni – e dunque lo regalo: a chi già conosco e a chi me lo chiede, a patto che ci incontriamo». Sì, perché nella bottiglia del “Via Mari 10” non è racchiuso solo un vino che brilla con eleganza nel calice, ma c’è anche tutta la magia creativa di una vite che domina la città, assorbendone effervescenza e vitalità.
«Noi oggi siamo abituati ai vini industriali che non hanno niente da dire – spiega Masoni – mentre il vino prodotto in via Mari è narrativo. Le mie viti, dal tetto, ascoltano il crogiolo di lingue che viene parlato in centro, e non solo il dialetto dei contadini, come invece avviene in campagna. E assorbono le varie culture. Questo è l’unico vino al mondo che regala sensazioni multisensoriali».
[[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.10947066:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.10947066:1649451074/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]
Le 35 bottiglie che ogni anno vengono prodotte, quindi, sono portatrici anche di ricordi, emozioni, storie, sogni. «Nella biografia di François Mitterrand, presidente francese dal 1981 al 1995, c’è una storia sull’uccello ortolano che mi ha sempre affascinato – racconta Masoni –. Mitterrand racconta di quando faceva catturare questo piccolo uccello migratore che ogni anno vola da Dakar al sud della Francia, e di come lo mangiava. Non masticava la carne, ma ne succhiava la polpa, e chiudendo gli occhi riusciva a vedere il viaggio compiuto dal volatile: vedeva il deserto, il mar Mediterraneo, i campi di Francia. Il mio vino fa lo stesso effetto: è capitato che persone che non erano mai state in via Mari 10 e non avevano mai visto il mio vigneto urbano descrivessero, dopo aver bevuto il vino, particolari di questo palazzo».
[[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:site:1.10941294:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.10941294:1649451074/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]
«Il merito – dice Masoni – è anche della mia bravissima enologa, che è una poetessa, e di Marcello Brunetti, amico e sommelier di fama». Ma, forse, anche via Mari c’entra qualcosa in questa magia. «Dal libro di Vittorio Nironi “Le case di Reggio nel Settecento” – racconta – si evince che al numero 10 della via, nel 1786, aveva sede la Generale congregazione delle Opere Pie. L’obiettivo era l’istruzione umana della gioventù, e per lo scopo era usato un vigneto nel cortiletto interno. Il vino che si produceva in via Mari era dunque un vero magistero – conclude – esattamente come quello che viene prodotto oggi».