Matteo Sassi: «Acqua pubblica, se si va alla gara sono pronto a dimettermi»
Per il numero due della giunta guidata da Luca Vecchi il nodo è tutto politico: «La ripubblicizzazione del servizio idrico è un punto di buon governo»
REGGIO EMILIA. Si riapre di colpo il dibattito sulla ripubblicizzazione dell’acqua e la notizia è che si riapre in piazza Prampolini, dentro le stanze della giunta di Luca Vecchi. A farlo è il numero due della giunta, il vice sindaco Matteo Sassi, con quello che, se non vuol essere un ultimatum, appare quantomeno come un avviso ai naviganti.
Un avviso che prende le mosse dalla recente proroga, concessa da Atersir ai sindaci reggiani per decidere quale strada intraprendere, entro fine anno: andare a una ripubblicizzazione senza se e senza ma, oppure tentare la strada di un “piano B”, con la creazione di una società “in house”, oppure ancora, andare a gara. E proprio su questa ultima eventualità - che in qualche modo sembra essere l’ipotesi oggi più quotata - che Sassi lancia il suo allarme. Arrivando persino a mettere sul piatto la sua uscita dalla giunta che oggi lo vede il numero 2.
Vice sindaco Sassi perché vede nero in questa partita?
«Sono preoccupato, non lo nascondo. Giudico positivamente la proroga accordata da Atersir e credo che si debba sfruttare appieno il tempo che ci viene concesso per tenere ancora aperta questa partita che ha una valenza politica fondamentale. A questo aggiungo quel che vedo attorno a me: una sorta di partito della gara che, più passa il tempo e più ingrossa le sue fila, anche grazie agli orientamenti del governo centrale; eppoi vedo Iren che si sta organizzando, attraverso la cosiddetta società delle reti che sembra fatta ad hoc per gestire il ciclo idrico. Credo che non possiamo lasciare che questi mesi passino invano senza che nulla accada ».
Cosa significa?
«Significa, per noi che governiamo questa città, che il servizio idrico non è soltanto uno dei cosiddetti beni comuni. Ma è anche un punto di buon governo a cui non possiamo abdicare: ricordo bene chi si è battuto in questa battaglia. E non penso soltanto alla sinistra o al centrosinistra, ma anche al mondo cattolico e dell’associazionismo e dei sindacati. Ricordo la mobilitazione di tanti soggetti...».
Alcuni dei quali sono ancora in campo e vi accusano di aver rinnegato i temi della vostra campagna elettorale.
«Non è esatto. Abbiamo esaminato un piano che prevedeva la ripubblicizzazione tout-court e abbiamo visto che non è praticabile, soprattutto dal punto di vista economico finanziario. A quel punto, però, credo che noi si abbia il dovere di tentare una strada alternativa alla gara. Non credo, sinceramente che tra cento e zero non esista nulla. Personalmente mi sono preso degli insulti per aver difeso la posizione presa dal Comune di Reggio».
Qualcuno potrebbe dire: si chiama realpolitik...
«E io le rispondo che a volte di realpolitik la sinistra muore, correndo il rischio di lasciare il campo ad altri».
Lei vede questo rischio oggi? Dopotutto non sembra esserci un grande movimento attorno a questi temi, a Reggio.
«Non credo che la quiete possa durare in eterno. Immagini un attimo se al governo non ci fossimo noi, ma una qualunque delle forze d’opposizione, dal Movimento 5 Stelle alla Lega, a Forza Italia. Cosa farebbero delle loro battaglie? Le cavalcherebbero senza troppi scrupoli».
E lei pretende che Luca Vecchi faccia altrettanto con l’acqua pubblica?
«Assolutamente no. Dico solo che dobbiamo far tesoro di questo tempo supplementare per trovare una soluzione che non sia la gara. Perché quella sarebbe una sconfitta che non potrebbe non avere conseguenze politiche».
Immagino stia parlando di se stesso. Quindi a cosa allude?
«Al fatto che se si andasse a gara, servirebbe un vice sindaco convinto della bontà di questa scelta. E non potrei essere io...».
Così lei si dimetterebbe, come magari chiede da tempo parte del suo partito.
«Guardi, una cosa la posso assicurare: qualora mi dimettessi non sarò mai all’opposizione di Luca Vecchi e men che meno mi metterò a fare il capo-popolo di chi oggi è contro questa maggioranza».
La sua opzione resta quella di una soluzione in house?
«Mi pare quella al momento più praticabile che come dicono tutti gli studi sarebbe anche quella più praticabile, anche per il solo fatto che ci permetterebbe, un giorno che ci rendessimo conto della sua non sostenibilità, di ritornare indietro e andare alla gara».
Il problema politico, in questo caso non esisterebbe più?
«Almeno ci avremmo provato...».
E crede che questo possa bastare?
«Non lo so. Quello che voglio evitare è che il contesto politico cambi in modo evidente. Reggio non è ancora prossima alla normalizzazione, ma non possiamo dimenticare che anche qui, l’ultima volta che si è votato, due elettori su tre sono rimasti a casa. Una passività che magari, oggi, a chi governa va anche bene, ma che non credo duri in eterno. Ecco quando si liberereranno queste energie nei cittadini, ci trovassimo svegli e in piedi, pronti a raccoglierle e non a lasciare nelle mani della destra o dei nuovi populismi».
Lei ha detto: occorre far tesoro di questi mesi che ci separano dalla scadenza del 31 dicembre. A cosa pensa in particolre?
«Penso innanzi tutto che debba esserci un dibattito il più possibile aperto. E per il peso del comune capoluogo, credo che questa sede non possa che essere il consiglio comunale. Poi credo si debba esperire la soluzione della società in house, ma soprattutto non voglio più vedere il film andato in onda l’estate scorsa».
Prego?
«Non voglio più vedere che di questa cosa se ne discute prima in via Gandhi che altrove, come invece, purtroppo è accaduto. Credo che oggi più che mai sia il comune capoluogo e con esso gli altri sindaci ad avere in mano il tema ».
massimosesena
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