C’era una volta il Cairo, il quartiere operaio delle Reggiane
La costruzione nel 1911, poi gli ammodernamenti, infine il declino: ecco la storia del rione che viveva in simbiosi diretta con lo stabilimento
REGGIO EMILIA. C'è un prima e un dopo nella storia de "Il Cairo", il quartiere operaio incuneato all'interno delle Officine Reggiane, nato ai primi del Novecento e demolito nei primissimi anni settanta. Prima del bombardamento del 1944, quando quei quattro casermoni in cui vivevano un centinaio di famiglie di operai qualificati delle Reggiane, erano il meglio dell'edilizia popolare di allora ed erano dotati del bagno interno. Un lusso per quei tempi. [[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:foto-e-video:1.13119606:MediaPublishingQueue2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/reggio/foto-e-video/2016/03/13/fotogalleria/ex-reggiane-il-rione-cairo-nelle-foto-storiche-e-nella-ricostruzione-virtuale-di-oggi-1.13119606]]
Ogni appartamento aveva anche a disposizione un pezzo di terra di 45 metri quadrati che nelle intenzioni dei progettisti doveva essere un giardino e che invece gli abitanti trasformarono in altrettanti orti, perché non c'era da scialare.
L’AFFITTO. Case dignitose in cui si viveva bene e l'affitto (300 lire al mese in media) veniva trattenuto dalle Reggiane a fine mese sullo stipendio. E un dopo fatto di fame e di tanta solidarietà tra i vicini, tutti prigionieri di una miseria nera piovuta da cielo assieme alle bombe che rese inagibili una trentina di appartamenti. [[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.13115197:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.13115197:1649484695/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]
Un quartiere in cui si entrava solo con il permesso dei residenti e "dove l'unica auto che è stata vista passare fino metà degli anni cinquanta, è stata quella di Benito Mussolini", ricorda Airone Polo che al Cairo ha vissuto a lungo.
Costruito tra il 1911 e il 1913 per ospitare gli operai qualificati e specializzati e le loro famiglie che le Officine Meccaniche Reggiane richiamavano da tutt'Italia, il Cairo ha vissuto un periodo d'oro dal 1930 al 1944 per poi diventare nel secondo dopoguerra un quartiere nel quartiere, in cui alla fine sono rimasti i più poveri. Gli ultimi hanno resistito 25 anni ai vani tentativi di sfratto, in attesa di un alloggio popolare che poi arrivò con le case di via Rivoluzione d'Ottobre dove in molti si sono trasferiti a fine anni sessanta.
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IL NOME. Raccontare la storia de Il Cairo, (di cui è incerto perfino l'origine del nome che finì con il tempo a diventarne la denominazione ufficiale anche nei documenti delle stesse Officine Reggiane), è come raccontare la nascita, lo sviluppo e il declino della fabbrica reggiana per eccellenza. Una storia spaccata a metà dal bombardamento del 1944 che segna l'inizio del declino delle "Reggiane" e poi proseguito con le lotte e i massicci licenziamenti che cambiarono pelle a Reggio e che coincide con quella del quartiere. [[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.13115204:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.13115204:1649484695/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]
Un piccolo microcosmo di cinquecento persone appena, tenacemente e orgogliosamente abbarbicate alle proprie radici ed ai quattro edifici costruiti tra via Agosti, l'ex Locatelli e il muro perimetrale delle Reggiane. I testimoni di quegli anni ormai si contano quasi sulle dita di una mano, e Airone Polo per tutti "Bibo", Mauro Ponzi, Franco Barazzoni e Anna Scotti, che al Cairo sono nati e vi hanno vissuto, vogliono recuperare e restituire alla memoria collettiva la storia di quel pezzo di città di 13mila metri quadrati.
LE RICERCHE. Spulciando tra i documenti di Istoreco, utilizzando Google e le mappe usate dagli americani per il bombardamento per ricostruire il Cairo in maniera virtuale e raccogliere la voce dei pochi testimoni rimasti e farne un libro. [[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.13115194:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.13115194:1649484695/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]
"Per raccontare la storia di persone" e aggiungere un altro pezzo all'affresco corale che il sito del nostro giornale dedica alla storia delle Officine Reggiane. Il Cairo non era nato come un "ghetto". Anzi.
Era un quartiere per quei tempi all'avanguardia che era stato costruito per alloggiare la manodopera specializzata che necessitava all'azienda in fase di grande espansione. S vivere allora in quelle case per molti era un sogno a cui si aveva diritto solo se si lavorava alle Reggiane. Ma se perdevi il lavoro perdevi anche la casa. Il resto della manodopera arrivava dalla campagne intorno a Reggio ed erano contadini che in fabbrica hanno imparato il mestiere e non era un caso che all'interno delle Reggiane vi era anche una scuola di formazione professionale. [[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:foto-e-video:1.13119659:MediaPublishingQueue2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/reggio/foto-e-video/2016/03/13/fotogalleria/ex-reggiane-la-vita-al-cairo-nelle-foto-dei-suoi-abitanti-storici-1.13119659]]
NIENTE ACQUA. "Quei bianchi edifici costruiti ai primi del novecento a due piani, senza i tetti spioventi e senza balconi, in attesa di essere innalzati, come poi avvenne nel 1927 con la realizzazione del terzo e ultimo piano. All'inizio non c'era l'acqua corrente e i pavimenti erano solo una sottile lamina di legno appoggiata sulla terra battuta. Ma erano già progettati in maniera razionale, basta pensare che non c'erano corridoi e si entrava direttamente in quella che oggi sarebbe la sala da pranzo", spiega l'architetto Renzo Barazzoni. [[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.13120808:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.13120808:1649484695/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]
Poi nel 1939 le cose migliorarono e le Officine Reggiane che a quel tempo facevano e disfacevano a loro piacimento, in accordo con il podestà fascista inglobarono una parte di via Ramazzini, allargarono via Bligny e aprirono il collegamento con via Vertoiba. [[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.13115191:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.13115191:1649484695/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]
LA SVOLTA. "Si mangiarono la via che attraversava il Cairo, via Dalmazio Birago, dal nome di un aviere della squadriglia di Galeazzo Ciano abbattuto ad Asmara", ricorda ancora Mauro Ponzi. E misero mano anche alle case degli operai per ristrutturarle. Vennero utilizzati nuovi materiali per i pavimenti e le scale e i bagni furono dotati di water, furono messe le piastrelle nelle cucine e portata la luce nelle scale comuni. Nuovi confort che le resero un po' più simili a quelle che poche decine di metri più in la via Adua - tutt'ora in piedi - riservate agli impiegati e che suscitavano invidia "perché avevano anche i balconi".
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Un quartiere nel quartiere che ruotava tutto intorno alle Reggiane e dove la giornata era scandita dalla "Sciflon", la sirena. "Quando suonava le mamme volevano che i tutti bambini fossero a casa _ ricorda Anna Scotti _ altrimenti all'uscita gli operai in bicicletta, che riempivano interamente la via, ci avrebbero investiti".
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PORTE APERTE. Al Cairo tutto era in comune, le porte sempre aperte e se c'era da pagare un funerale ognuno offriva quello che poteva. Ma anche allora le biciclette era meglio portarsele a spalla in casa, altrimenti sparivano. Il punto di aggregazione dei giovani e dei ragazzi del quartiere era il campetto da calcio. Lo spiazzo a ridosso del muro delle Reggiane, dove con due sassi si facevano le porte e si giocava a calcio, mentre le bambine appena più discoste giocavano a "campana". [[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:reggio:cronaca:1.13115190:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.13115190:1649484695/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]
LO SPORT. In quel campetto spelacchiato si cominciò anche a giocare anche a hockey su prato e a pallacanestro ed è lì che nacquero la Polisportiva Galileo e la squadra di pallavolo. All'interno del quartiere non c'erano negozi e si doveva andare in via Agosti e in via Adua a far la fila per prendere il pane, il latte e quando c'erano i soldi un po' di carne. E come spesso accadeva pagare a fine mese quando arrivava lo stipendio, contando sul buon cuore dei commercianti.
Intorno alle Reggiane invece era pieno di osterie per gli operai e davanti alla portineria c'era il chiosco con le granatine. "Poi c'era la Norma _ ricordano sorridendo i vecchi abitanti _ che vendeva le sigarette e suo figlio Olindo dopo aver seguito la radiocronaca del Giro di Italia e del Tour a fine tappa scriveva su un foglio l'ordine di arrivo e lo attaccava con una puntina ad un platano, così gli operai all'uscita dal lavoro potevano leggerlo".
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WILLIAM POLI. La politica e lo sport e la miseria erano il collante del quartiere in cui convivevano emiliani, lombardi, toscani, piemontesi e che può vantare anche le sue glorie sportive. Come Giacomina Canuti, la "Mina", che ha giocato e vinto nella pallavolo con l' Arbor. O come il campione italiano dei pesi mesi William Poli, che si ritirò imbattuto solo dopo pochi incontri . "Per noi bambini _ ricorda Airone Polo _ dopo Carnera era l'uomo più forte del mondo e al suo rientro dall'America non sapendo dove allenarsi, correva lungo via Agosti usando i platani come il sacco da boxe.
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CARAMELLE. E chi non lo conosceva lo prendeva per matto. Invece era buono e ci portava a comprare le caramelle e poi al campetto a giocare a calcio". Questo è solo un piccolo pezzo di quello che vorrebbero raccontare gli abitanti di allora scrivendo la loro storia e quella del Cairo. E poco importa se ancora oggi non si sa se il quartiere ha preso il nome da quei quattro caseggiati bianchi senza tetto spiovente che spiccavano nel verde della campagna circostante e che facevano pensare ad un villaggio mediterraneo, o piuttosto per essere diventato un punto di incontro di persone, culture e tradizioni che arrivavano da diverse parti del paese.
Il Cairo di certo è stato il crogiolo di tanti nuovi reggiani. Quasi come oggi via Turri, che dista dal Cairo solo un tiro di schioppo.
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