Ecco i numeri del successo del Reggiano di montagna
Oltre 700 mila forme, 40 centesimi in più al chilo sulle quotazioni ordinarie Il Consorzio: «Più impegno per i produttori, valore aggiunto per i consumatori»
CASTELNOVO MONTI. È quantificabile anche economicamente il successo del neonato marchio “Parmigiano Reggiano Prodotto di Montagna”, protocollo a cui hanno già aderito 14 latterie di territori montani della zona di produzione. Il protocollo è stato messo a punto dal Consorzio del Parmigiano Reggiano. Ed è dedicato in modo specifico al formaggio prodotto nelle aree appenniniche di montagna: potenzialmente una produzione che si attesta a oltre 700.000 forme su un totale di 3.300.000, per una cifra che evidenzia come il Parmigiano Reggiano sia il formaggio Dop che vanta la più elevata produzione in montagna.
«Il Progetto sul Parmigiano Reggiano Prodotto di Montagna – spiega il direttore del Consorzio Riccardo Deserti – ha assunto una rilevanza ulteriore dopo la liberalizzazione delle quote comunitarie e la crisi del latte, sia a livello nazionale che internazionale, che espone proprio le produzioni di montagna al rischio di essere “spazzate via” da una concorrenza che sui prodotti generici è sicuramente avvantaggiata da costi di produzione decisamente più contenuti».
Per Deserti, «l’adesione al progetto comporta importanti impegni da parte dei produttori, che si traducono proprio in quel valore aggiunto che viene assicurato ai consumatori e che può generare una maggiore redditività al prodotto di montagna».
Di qui la rigidità di un protocollo per salvaguardare il valore del prodotto: «Per ottenere la certificazione - spiega ancora il direttore del Consorzio – il latte trasformato deve provenire esclusivamente dagli allevamenti della montagna, le bovine debbono essere alimentate prevalentemente con erba e fieno (vale anche qui il divieto assoluto dell’uso di insilati e additivi) che per oltre il 60% debbono avere un’origine locale (la parte rimanente può comunque essere acquisita esclusivamente in altre aree del comprensorio del Parmigiano Reggiano), e al ventiquattresimo mese di stagionatura (cioè un anno dopo la prima espertizzazione con la quale si classifica ufficialmente il prodotto come Parmigiano Reggiano) il formaggio è oggetto di una ulteriore selezione qualitativa che include anche un panel di assaggio che ne verifica l’identità sensoriale».
Anche grazie a questo rigido protocollo, alcune primarie catene distributive hanno già manifestato un interesso specifico per la vendita di questa produzione certificata di montagna. E il prodotto che già rientra nel percorso di certificazione del “Progetto qualità” del Consorzio nell’ultimo mese ha ricevuto un riconoscimento di 40 centesimi in più al chilogrammo rispetto alle quotazioni ordinarie, apportando un incremento di circa 3 euro in più sul valore di un quintale di latte. «Si tratta – conclude Deserti – di una spinta in più sul reddito dei produttori che già indistintamente si sono visti riconoscere un nuovo valore dall’attribuzione delle quote latte da destinare a Parmigiano Reggiano dopo la cessazione del regime e che ora, in queste aree svantaggiate, possono avvalersi di una nuova opportunità rispetto ai problemi che scontano coloro che mantengono viva tanta parte dell’economia dell’Appennino».