Gazzetta di Reggio

Reggio

Il marchio Reggiane esiste ancora oggi

di Paolo Cagnan
Il marchio Reggiane esiste ancora oggi

Utilizzato per gli impianti di dissalazione: ecco la storia

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Ti capita di transitare lungo viale Regina Margherita e di scorgere, davanti al complesso di uffici di via Cadoppi, un marchio decisamente familiare: quello delle Reggiane.

Sotto c’è scritto «Desalination Plants» e sotto ancora c’è un altro logo, quello della Demont. Dietro a quel doppio marchio c’è un importante pezzo di storia industriale salvato dal disastro Terex. E’ la storia di uno dei molti rami d’azienda delle ex Reggiane, quello degli impianti di dissalazione. Ed è la storia dell’ingegenere mantovano Roberto Scardua, che ha acquisito il marchio “di settore” dagli americani e sta continuando, a Reggio ma per un’azienda savonese (la Demont, appunto) a portare il nome delle Officine meccaniche nel mondo.

«Sono arrivato alle Reggiane il primo marzo del 1979, neolauraeato a ventisei anni. Fummo assunti in quattro, io ero tra questi. Il settore di mia competenza era quello saccarifero, legato alla produzione degli zuccherifici che era stata avviata già a metà degli anni Cinquanta. Ma c'era anche la dissalazione, tra i rami d'azienda dello stabilimento».

Cosa ricorda del colloquio d'assunzione?

«Essere assunti alle Reggiane era considerata una fortuna, un privilegio direi. Ricordo il colloquio negli uffici di via Agosti, e il fascino di quella distesa di tavoli da disegno per la progettazione. Era l'epoca dell'EFIM e delle Partecipazioni statali che stavano chiudendo il contratto per lo zuccherificio di Haiti, la più grande commessa di tutti i tempi. L'EFIM aveva acquisito lo stabilimento dopo la grande crisi del secondo dopoguerra e l'aveva rilanciato, diversificando molto le attività: dagli zuccherifici agli impianti di dissalazione, sino alla movimentazione delle merci portuali e ai pontili d'imbarco degli aeroporti: di tutto, di più».

Gli zuccherifici sono stati un business notevole.

«Sono entrato come progettista in questo campo e la grande fortuna è stata potermi occupare di un impianto da consegnare chiavi in mano. Poi abbiamo partecipato al grande sviluppo dell'industria saccarifera italiana negli anni Ottanta sino a quasi gli anni Novanta con un grande piano di ristrutturazione degli zuccherifici esistenti, al quale abbiamo lavorato molto intensamente».

E poi gli impianti di dissalazione, un ramo d'azienda delle Reggiane forse tra i meno conosciuti

«Questa attività iniziò a metà degli anni Settanta nell'ambito del piano d'investimenti dell'EFIM. Su quella base, le Reggiane iniziarono a camminare sulle proprie gambe, acquisendo lavori in Nicaragua, in Libia, nel Kuwait dove venne realizzato un impianto enorme, il più grande realizzato qui a Reggio. La chiave del successo è stata la capacità di adattarci alle varie tecnologie, modificando il nostro approccio in base ai singoli impianti e alle tecnologie che questi applicavano».

La dissalazione è un procedimento complesso?

«Assolutamente sì. Si basa sulla produzione di acqua pura (distillata, ad essere precisi) sia per impianti industriali, sia per uso potabile, a partire dall'acqua di mare. Il procedimento è legato ad un processo termico, che consiste nel portare a ebollizione l'acqua di mare ed estrarne la parte distillata, che poi diventa l'acqua buona. Il trattamento dell'acqua di mare è un processo molto delicato e molto complesso: va trattata quasi fosse un prodotto petrolchimico per i problemi di corrosione e di incrostazione che può dare. La forza della nostra tecnologia è stata anche quella di realizzare impianti che durano una vita».

Lei è rimasto alle Reggiane sino alla fine, ingloriosa.

«Sì. I ricordi sono drammatici, specie per chi - come me - da laureato era entrato alle Reggiane in quegli anni e le ha considerate non solo un'azienda, ma alla stregua di una mamma. E scusate la nostalgia, ma questo è».

Come è finita?

«Ricordo che con un collega siamo rientrati dal Brasile con un importantissimo contratto nel settore portuale che valeva trenta milioni, e quindici giorni dopo Terex ha comunicato che avrebbe chiuso l'attività. Da lì, il calvario dei licenziamenti, con tutto quello che ha comportato. L'altro ricordo veramente amaro è di quando la Terex ha deciso di sradicarci da via Agosti, nostra sede storica, per trasferirci a Bagnolo sopra la coop: l'ultimo giorno, quando sono entrato in ufficio, ho trovato gli operai che distruggevano la mia scrivania a martellate».

Lei ha salvato il ramo dissalazione, passando alla Demont e acquisendo il marchio: rappresenta ancora oggi un valore aggiunto?

«Il marchio che noi utilizziamo è a tutti gli effetti il marchio Reggiane, salvo una precisazione: è quello usato specificamente per gli impianti di dissalazione. Infatti, sotto lo storico "sigaro" (così è sempre stato chiamato il logo delle Reggiane) è riportata la scritta Desalination Plant, proprio a indicare quell'attività che Terex non può utilizzare, mentre può servirsene per le attività delle gru. Quindi, il marchio che era Cranes & Plants è stato per così dire diviso, con la parte Cranes (gru da carico) rimasto alla Terex e la parte Plants (impianti di desalinizzazione( passato dalla Demont».

Le chiedevo del valore...

«Il marchio Reggiane resta un valore aggiunto importantissimo ed è quello che ci ha consentito di rimanere sul mercato perché ci ha reso immediatamente riconoscibili da tutti i potenziali clienti, cosa che non sarebbe stata ovviamente possibile utilizzando semplicemente il marchio Demont: società con grande capacità, ma sconosciuta - fino a quel momento - in quel settore. Oggi Demont ha un nome e tiene ancora molto ad affiancare il suo marchio a quello delle Reggiane».

Grazie ad Adriano Riatti per la collaborazione.