Negato l’avvicinamento al boss Bolognino
Processo Aemilia: rimane al carcere duro all’Aquila. Il legale: «Il diritto di difesa è compromesso»
REGGIO EMILIA. Isolato, tenuto a distanza dagli altri coimputati, con difficoltà enormi ad avere contatti sia con il proprio legale che con i familiari.
E’ quanto emerge (o in parte si desume) fin dall’avvio della quinta udienza di Aemilia e il protagonista è uno dei pezzi da novanta del processo, cioè Michele Bolognino che è al carcere duro all’Aquila ed è considerato dagli inquirenti uno dei boss della cosca Grande Aracri. L’avvocatessa Carmen Pisanello – che lo difende – ha già visto respinta dal Ministero dell’Interno la richiesta di avvicinamento e si è rivolta alla Corte strappando un impegno: «Non è nei nostri poteri, ma metteremo al corrente chi di dovere di questa situazione». Il difensore è lapidario: «In questa situazione il diritto di difesa è compromesso, l’Aquila è difficile da raggiungere, ci vogliono 10 ore di macchina fra andata e ritorno. La posizione accusatoria di Bolognino è complessa, non possono bastare comunicazioni via telefono».
Poi per oltre due ore dieci testimoni (fra dipendenti dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia delle Dogane) sentiti ieri nell’aula bunker sono entrati nel merito di diverse società, facendo emergere – come nella scorsa udienza – fatture fasulle, truffe a carosello, false dichiarazioni d’intento relativamente all’attività di esportatore abituale (per non pagare l’Iva), sospetti pagamenti anticipati rispetto alle forniture di merci, prestanomi o presunti tali. Ed è una “girandola” di cifre milionarie nascoste al Fisco – come illustrano i testimoni – con operazioni che tirano in ballo spesso San Marino, ma anche Austria, Olanda, Francia, Repubblica ceca. E spunta pure la ditta Core Technology srl (di Parma) che è stata sequestrata al pentito Giuseppe Giglio (condannato in primo grado a 12 anni di carcere) nell’ambito della sentenza del gup Francesca Zavaglia. Verifiche fiscali su cui ha avuto da ridire, sbottando, l’avvocato Antonio Piccolo: «Ma qui siamo in un processo di mafia o in un procedimento tributario? C’è una valenza mafiosa in tutto questo? Le è stato segnalato che Giglio fosse un mafioso?». Evasiva la risposta: «A noi interessava il lato fiscale». Fra una settimana il processo “sterzerà”: è infatti prevista la testimonianza del maggiore Andrea Leo che come comandante dei carabinieri di Fiorenzuola (ora è in forza ai Ros di Catanzaro) ha dato il “la” alla maxi inchiesta sul radicamento dell’ndrangheta in Emilia.(t.s.)