Gazzetta di Reggio

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Spunta un pentito di mafia nel processo a Ciancimino

di Tiziano Soresina
Spunta un pentito di mafia nel processo a Ciancimino

Maxi frode con l’acciaio: alla sbarra anche l’uomo dei conti di Grande Aracri Il contabile Signifredi è considerato dal pm uno dei sodali del figlio di don Vito

06 maggio 2016
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REGGIO EMILIA. Per gli inquirenti è l’uomo dei conti di Nicolino Grande Aracri e a Brescia – nel processo Pesci – è stato di recente condannato in primo grado a 6 anni di carcere, ma non è escluso che il 52enne Paolo Signifredi venga anche sentito a Reggio nel processo Aemilia in quanto sta collaborando con la procura antimafia.

Ma ora si scopre che il contabile con Reggio ha a che fare per una vicenda giudiziaria per nulla secondaria, in quanto viene accusato dal pm Valentina Salvi di essere un sodale nientemeno che di Massimo Ciancimino – figlio 53enne dell’ex sindaco di Palermo e superteste nel processo sul presunto patto Stato-mafia – in quella che gli inquirenti ritengono una maxi frode con l’acciaio (valutata sui 130 milioni di euro).

Attualmente Signifredi è in un carcere segreto e le sue rivelazioni sono già agli atti del processo Kyterion, cioè del terzo filone giudiziario che a Crotone riguarda sempre la cosca di Cutro. Per lui ora i guai sono però di natura fiscale e con cifre roboanti, ma per la quarta volta l’udienza preliminare non è decollata. In un’aula a dir poco affollata di avvocati – sono una ventina gli imputati – il gup Giovanni Ghini ha chiesto al pm Salvi di rielaborare il complesso capo d’imputazione, evidenziando in chiave accusatoria i profili degli amministratori di fatto di alcune società che sarebbero coinvolte in questa intricata vicenda.

E il giudice ha dato poco meno di due mesi di tempo al pubblico ministero affinché focalizzi meglio quanto richiesto nelle accuse.

Non c’è il grande protagonista di questo processo: Massimo Ciancimino ha problemi di salute e ha disertato l’udienza. Nelle “puntate” precedenti non si è certo sottratto ai taccuini, parlando un po’ di tutto: dal famoso “papello Riina” (da lui consegnato ai pm di Palermo e contenente le richieste del boss di Cosa Nostra allo Stato) sino alle minacce a cui dice di essere sottoposto ormai da tempo e che l’hanno costretto a chiudersi in casa.

Ha già anticipato quella che sarà la sua difesa relativamente alla maxi frode di cui è accusato a Reggio.Dice di aver perso 600mila euro nell'operazione finanziaria finita nell'inchiesta e di averne recuperati 183. Nega di essere capo promotore dell'organizzazione, come prova allude al fatto che nel 2006-2007, quando sarebbe stata messa in atto la frode, lui si trovava agli arresti domiciliari, mega intercettato («Sopra di me c’è un satellite» aveva detto scherzando, ma non troppo). Questo procedimento era partito da Ferrara qualche anno fa, e riferito al periodo in cui Ciancimino viveva e aveva affari in Emilia Romagna. Lo stesso procedimento, nel 2013, aveva fatto finire il figlio di don Vito agli arresti domiciliari. Misura che in seguito era stata revocata e attualmente è in libertà. Il fascicolo, che riguarda la posizione di Ciancimino stesso e diversi altri indagati, era stato poi stralciato e inviato alla procura di Reggio per competenza territoriale. Altri “pezzi” di questa maxi inchiesta erano finiti agli inquirenti di Modena, Verona e Pesaro. A Ferrara sono quindi rimaste solo delle posizioni minori. A giugno dovrebbe quindi finalmente partire a Reggio il processo che vede l'associazione a delinquere finalizzata all'evasione fiscale come accusa principale.

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