Gazzetta di Reggio

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I vertici della Cgil a Cutro contro il clan Grande Aracri

I vertici della Cgil a Cutro contro il clan Grande Aracri

Venerdì la trasferta per un convegno nel paese del boss con Fava e Migliore Confische, è allerta: sono 248 in Regione e 19 a Reggio ma senza riassegnazione

11 maggio 2016
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REGGIO EMILIA. Cgil nazionale, calabrese ed emiliano-romagnola unite contro la criminalità organizzata. È il senso dell'iniziativa, venerdì a Cutro (Crotone), «Emilia-Romagna e Calabria uniti nella legalità per un nuovo modello sociale e di sviluppo», organizzata con la Camera del Lavoro di Crotone e l'Osservatorio Cgil sulla legalità “Salvatore Aversa”. Alle 17 nella sala Falcone e Borsellino del Comune ci saranno Gianna Fracassi, segreteria Cgil, e i segretari della Calabria, Michele Gravano, e dell’Emilia-Romagna, Vincenzo Colla. Con loro il sottosegretario alla Giustizia, Gennaro Migliore, e il vice presidente della Commissione Antimafia, Claudio Fava. Il convegno, nel luogo di insediamento storico della cosca 'ndranghetista Grande Aracri, vede unite le due strutture regionali Cgil per sottolineare il radicamento dell'associazione mafiosa su tutto il territorio nazionale, come emerso dalle indagini della Dda e dai maxi-processi Aemili« a Bologna, Kyterion a Crotone e Pesci a Brescia. Oltre al «costante impegno del sindacato nella lotta alla criminalità organizzata». «Legalità, diritti, lotta alla criminalità organizzata e a tutte le mafie - conclude la Cgil, che in Emilia-Romagna è parte civile al processo Aemilia - sono gli obiettivi con cui, storicamente, il sindacato si è misurato, pagando anche prezzi durissimi. Bisogna ripartire dal lavoro, dai valori democratici di cui il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori è portatore, per ricostruire una strategia d'azione per la definitiva espulsione della criminalità organizzata dal consesso civile».

L’effetto del radicamento della criminalità organizzata è ricostruito dalla mappa delle confisce in Regione, ripubblicata ieri dalla Cgil, che chiede di aprire tavoli ad hoc in ogni prefettura dell’Emilia-Romagna per monitorare in tempi rapidi la consistenza e il possibile impiego dei patrimoni confiscati alla mafia già disponibili in Regione.

Sulla base dei dati aggiornati ad aprile 2016 contenuti nel dossier curato dalla presidenza del Consiglio dei ministri, in collaborazione con la società pubblica «Studiaresviluppo», i patrimoni già confiscati con la sentenza degli abbreviati del 22 aprile del maxiprocesso Aemilia sono consistenti. Ma Aemilia a parte, si contano già 248 patrimoni confiscati. Si trovano in 48 comuni regionali e, per quanto riguarda il podio, si va dai 42 beni di Alseno, nel piacentino, ai 20 di Forlì e ai 17 di Nonantola. Per il 35% si tratta di appartamenti, per il 15% box e garage, per il 12% terreni agricoli e così via. Dei 248 beni immobili, avvisa tuttavia il responsabile regionale alla legalità della Cgil Franco Zavatti, solo 81, il 32%, ad oggi sono destinati ad un recupero di utilità pubblica, in maggioranza a beneficio dei municipi, e poi di enti pubblici in generale e del volontariato sociale. A Reggio non ci sono ancora riassegnazioni su 19 beni confiscati.